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"Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo"

Anniversario del terremoto. Parole di Liliana Centofanti, sorella di Davide (tra le vittime alla Casa dello Studente) al Parco della Memoria aquilano

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Buongiorno a tutti, anche se questa mattina è sempre un po’ più triste delle altre. Eccoci, riuniti come accade da tanto tempo ormai, quasi come un’unica grande famiglia... eppure sempre mutati.

È un giorno importante, poiché possiamo stare all’aperto dopo due anni complicati; trovarci qui rappresenta un momento di normalità. Sappiamo bene quanto velocemente questa parola abbia dovuto spogliarsi del suo significato ed assumerne uno inaspettato, che mai renderà giustizia a ciò che abbiamo vissuto in questi lunghi anni. Probabilmente ne servirebbe una di nuovo conio, che includa la resistenza, la sopravvivenza, la tristezza, l’impotenza, l’assenza, ma anche la vicinanza, l’immane capacità di riscrivere la vita, di raccontare la morte, l’amore che abbiamo messo nella quotidianità, per noi stessi e per chi non c’è più.

Ce ne sarebbe davvero bisogno di questa parola. Ma a pensarci, c’è già. Memoria. È solo che come tutte le cose ormai assodate si dà per scontata. E poi è una parola strana: implica pratica continua, forza, senso di appartenenza.

In effetti non è detto che tutti si sentano di appartenere ad un certo tipo di ricordo, ma si sentono chiamati a farlo forse per abitudine, per inerzia, ma in maggioranza per rispetto nei confronti di chi ha dovuto e scelto di fare di quel ricordo una guida ed un’ancora laddove l’inspiegabilità della vita ha rischiato di mettere fine a tutto, in meno di un minuto. 

Ecco perché, anche quando una giornata come questa sembra diventare retorica, in realtà reca in sé un valore molto più alto, quello della civiltà. In un Paese come l’Italia, che è straordinario per volontariato, per accoglienza e tutte quelle illustri qualità che all’occorrenza sono un vanto nazionale ed internazionale, stranamente parlare di memoria diventa ridondante.

Quindi capita che dopo un po’ i terremotati e le vittime rompano i coglioni. Oppure che, peggio ancora, i terremotati (che a quanto pare sono una categoria antropologica a sé)
vengano utilizzati per propaganda contro altre categorie umane, magari i profughi finti. Perché poi ci sono anche quelli veri. Per cui, per quanto possa appesantire qualcuno (anche gli insospettabili), parlare di quanto accaduto e di come la vita continui, non è mai abbastanza. 

Memoria non è vittimismo, non è buona creanza, né un dovere fine a se stesso. Anche perché, e potrei essere linciata qui pubblicamente, le vittime del sisma sono soltanto la punta visibile e mediaticamente più sfruttabile di questo iceberg. Adombrando quanti non hanno retto ai ricordi, chi è rimasto fisicamente compromesso in modo permanente, lo spopolamento, il distacco forzato da tutto ciò che era familiare, chi continua a vivere qui e altrove nonostante tutto. 

Memoria è anche questo. Memoria è permettere a quanti sono nati e cresciuti all’alba del 6, a quanti erano bambini e ragazzi tredici anni fa, che su queste lastre leggono i nomi di coetanei, di compagni di infanzia e di vita volati via troppo presto, o mai incontrati, di raccontare che il dolore purtroppo non ha età ma che domani arriva. E possiamo farcela. È dare voce agli anziani, utili e sacrificabili, che hanno fatto la città e che in molti non la rivedranno più. È raccontare il sacrificio delle squadre di lavoratori e volontari che quella notte e nei giorni successivi ci hanno permesso di arrivare fino a qui, oggi. È riconoscenza. Memoria è avere di fronte la realtà ed avere il coraggio di raccontare e accogliere la verità. Memoria è inclusione. 

In questi giorni ascoltiamo, sgomenti, racconti terribili dal fronte di una guerra tanto reale quanto anacronistica. E quante vittime invece, leggiamo sui tantissimi monumenti ai caduti, militari e civili, di ogni età. Ce ne saranno tante anche in questo conflitto. Così come ce ne sono state e continuano ad essere le vittime del Covid. Prima o poi, anche loro finiranno per rompere i coglioni? O forse no...?

Tra le tante parole che mi è capitato di leggere, ho recepito quelle di una persona straordinaria, un certo Robin Williams, che diceva: “Se vi capitasse di passare davanti alla mia tomba, vedrete due date, con un trattino in mezzo. Bene, guardate attentamente quel trattino. È l’unica cosa che conta”. Ecco, forse se prestassimo più attenzione a tutti i trattini che un tempo erano persone e che ora campeggiano tra due date, compiremmo un altro passo verso la civiltà. La stessa che ho citato poco fa ed abbiamo la presunzione di andare ad insegnare altrove, e che, invece, è una lezione che non abbiamo di fatto ancora imparato. 

Memoria è evitare di ripetere gli stessi errori. È prevenzione. 

Memoria è assumersi la responsabilità collettiva di garantire dignità a ciascuno di noi. 

A fronte di due anni in cui non abbiamo potuto raccoglierci, correndo il rischio che il silenzio dello sgomento cedesse il passo a quello della dimenticanza, essere qui oggi è fondamentale. Anche per tutti coloro che ieri hanno acceso un lume ed assenti per svariate e insindacabili ragioni, ci affidano e condividono con noi quanto ci troviamo a portare avanti. 

Infine, credo che la Memoria sia il luogo comune in cui istituzioni e cittadini dovrebbero incontrarsi senza indugio, perché la Memoria non è mai divisiva. È di tutti e a servizio di tutti, come questo Parco la cui importanza è tangibile oggi e ancor più durante gli altri 364 giorni. Per cui concludo dicendo che personalmente non mi limito a non dimenticare, ma oggi ribadisco la mia volontà di ricordare. 

Come diceva Saramago: "Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”.

Auguro quindi un 6 aprile di civiltà a tutti.

nella foto Davide Centofanti, fonte: profilo Facebook Liliana Centofanti

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