“Il futuro non è davanti a noi. E’ già accaduto”. Non è una mia considerazione ma una famosa citazione di uno dei più importanti studiosi mondiali di marketing.
Faccio una premessa indispensabile: sono nato a Vasto, sono cresciuto qui (o meglio lo sto facendo) e, salvo eventi straordinari, ho deciso di spendere le mie risorse, economiche e non, per questo territorio. Il mio sogno, come credo quello di molti altri, sarebbe quello di poter contribuire a lasciare ai miei figli una città più bella, più vivibile ma soprattutto, una città in cui i miei figli, come quelli di tanti altri miei coetanei, possano quantomeno avere la speranza di realizzare i loro, di sogni.
Sarebbe bello, e lo riconosco, anche un tantino fantasioso, che nel mondo ognuno potesse, secondo le proprie capacità e con il suo lavoro, contribuire a rendere la propria città migliore; sono sicuro che ci riuscirebbe senza troppe difficoltà. Riuscirebbe a farlo perché accanto al senso del dovere insito in ogni attività lavorativa ognuno di noi avrebbe anche un’altra spinta decisiva: la linfa proveniente dalle sue radici. Queste, ed altre, erano tutte considerazioni che facevo in treno nel viaggio di ritorno dalla fiera BIT di Milano. Guardavo fuori dal finestrino e pensavo che sì, forse la mia idea è effettivamente un po’ troppo utopistica; ma pensavo anche che la realtà oggi è, se possibile, ancora più “triste” di quanto sia utopica la mia immaginazione. Oggi per un giovane che finisce i suoi studi, “fare le valigie ed andare via da Vasto” è diventata la condizione necessaria ed indispensabile per realizzarsi nella vita; “conditio sine qua non” avrebbe detto la mia professoressa di latino delle superiori. E’ vero, ci sono tanti giovani, che scelgono di andare via e che lo sceglierebbero comunque; ma scegliere è cosa ben diversa dall’essere obbligati. Mi facevo queste domande non perché abbia velleitarie ambizioni negli studi sociologici, ma solo perché di ritorno da un’esperienza importantissima per un operatore del settore come me (la Bit di Milano appunto), mi chiedevo quante cose noi stessimo facendo concretamente per invertire la rotta e per riaccendere la speranza delle generazioni future. La risposta a questa mia domanda è sembrata assomigliare ad un vuoto assordante; vi chiederete: come può un vuoto essere assordante??? Può.
Proverò a spiegarvelo con un esempio: avete presente la presenza della nostra città, Vasto, e della nostra regione, l’Abruzzo, alla fiera Bit di Milano? Ecco, esattamente così. Un vuoto assordante. Vasto e l’Abruzzo alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano erano un bancone vuoto che addirittura nemmeno c’era. Erano presenti centinaia di Nazioni straniere, tutte le regioni italiane, addirittura anche molti distretti, ma Vasto e l’Abruzzo no. Sinceramente non credo che si possa dare un effettivo rilancio e un briciolo di speranza alla nostra città prescindendo dal turismo e dall’enorme indotto che esso può innescare. Questa è una considerazione mia. Durante un workshop un esperto mi diceva che “oggi il turista quando si mette in viaggio non è tanto alla ricerca di posti e luoghi ma piuttosto va alla ricerca di un’esperienza”. In pratica il turista vuole tornare a casa con uno zaino pieno di ricordi, emozioni, sapori. Ascoltavo e pensavo… chi più di Vasto potrebbe offrire al turista tutto ciò?? Vasto è una città piena di storia, cultura, tradizione culinaria e non solo, oltreché uno scorcio d’Italia caratterizzato da paesaggi unici. Vasto è legata da stretta vicinanza con luoghi naturali e religiosi di primissimo piano. Detto questo, è altrettanto vero che non si può pensare di avere sempre l’occhio rivolto indietro, al passato; è troppo comodo pensare a risorse storico, culturali e paesaggistiche come le uniche sulle quali basare la competitività del nostro paese sul mercato turistico. Anche loro sono una rendita, e come tutte le rendite, anche questa, se non ben investita, presto o tardi finirà. E allora perché? Perché un bancone vuoto?
E’ ovvio. Il turismo non si improvvisa. Il turismo va programmato. Ci sono strumenti per farlo. Ci sono persone in grado di farlo. E noi a Vasto abbiamo anche queste. Penso fra gli altri al dott. Fabrizio Lucci, un giovane professionista che conosco personalmente e che svolge con estrema passione il suo lavoro. Per fare del “buon turismo” occorre fare sistema. E non solo con chi ci amministra. Non si può pensare di fare turismo rimanendo arroccati dietro i banconi delle proprie attività, tentando di mantenere privilegi conquistati da generazioni passate.
Occorre uscire, incontrarsi, discutere e persino mettersi in discussione. Come dicevo prima, occorre programmare. Per esempio mi sembra inverosimile che Vasto non disponga di una tavola rotonda seria a cui si siedano i maggiori interpreti del sistema e che si riunisca periodicamente per parlare e discutere di turismo. Il turismo, e di questo ne sono convinto, può essere l’unico volano per ridare il lustro che merita alla nostra città ed aprire attraverso il suo indotto occasioni lavorative impensabili per la nostra gente. Il turismo è, ad oggi, l’unica freccia a disposizione del nostro arco; non possiamo sprecarlo. Mi rendo conto che il periodo è difficile; che la politica del rigore è un elemento indispensabile del nostro tempo e “il governo dei tecnici” ne è solo la sua più concreta materializzazione. Ma per generare sviluppo non basta il rigore; per crescere bisogna essere in grado di scommettere ed avere il coraggio di farlo. Chi ci governa non dovrebbe avere paura di assumersi l’onere di scelte coraggiose; anzi, arrivo a dire che chi ci governa, soprattutto oggi, dovrebbe essere riconosciuto perché il più coraggioso di tutti Noi. Poi il turismo ha bisogno di investimenti, che sostengano la programmazione.
Mi hanno insegnato che l’investimento si articola in due momenti, il primo in cui si genera una flusso di denaro in uscita e un secondo in cui c’è n’è uno in entrata; se l’investimento è azzeccato il secondo è di gran lunga superiore al primo. Questa è la scommessa.
La nostra città, Vasto, ha un patrimonio immenso che nessuno potrà mai portarle via; ma questo patrimonio potrebbe essere nulla rispetto a ciò che una nuova generazione capace e motivata potrà, se Dio vuole, pensare di realizzare. La posta in palio è altissima. Ci giochiamo la speranza nostra e dei nostri figli.Un domani potremmo essere accusati di incompetenza; ancor peggio di codardia. Ma abbiamo ancora qualcosa da perdere???