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Il primo giornalista ucciso fu l’abruzzese Antonio Russo

Stava indagando sui crimini russi in Cecenia

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La morte di Navalny ha riacceso i riflettori sull’alto numero di giornalisti uccisi in Russia negli ultimi decenni. A partire da Anna Stepanovna Politkovskaja, giornalista d’inchiesta della Novaja Gazeta uccisa il 7 ottobre 2006, tanti sono i giornalisti che sono stati ricordati nelle scorse ore. 

Il primo giornalista ucciso in quella vasta zona dell’Europa orientale è stato l’abruzzese Antonio Russo nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000. Corrispondente di Radio Radicale e originario di Francavilla, Russo si trovava in Cecenia per documentare i crimini russi. Atrocità che nelle sedi internazionali erano state denunciate dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. Dopo le denunce radicali c’era stata una rappresaglia da parte del governo russo chiedendo l’espulsione del Partito Radicale e la cancellazione dello status di Organizzazione Non Governativa accreditata presso gli organismi internazionali, delle Nazioni Unite ed europei, per i diritti umani.  

Prima di giungere in Cecenia per documentare i crimini russi Antonio Russo era stato corrispondente per Radio Radicale da vari Stati in guerra. Aveva documentato negli anni novanta quanto stava accadendo nei Balcani ascoltando la popolazione civile. Russo, infatti, era ben diverso dalla quasi totalità dei giornalisti italiani presenti in zone di guerra: si era sempre rifiutato di alloggiare negli alberghi internazionali e si faceva ospitare da famiglie e persone del posto. Fu questa sua scelta alla base di un episodio avvenuto a Skopje. Era riuscito a fuggire da Prishtina insieme ad una colonna di civili in fuga dalla guerra, mentre era in treno una sera raccontò quanto stava accadendo per due ore in diretta su Radio Radicale iniziando con le parole “qui è un casino”. Poi non si ebbero più sue notizie per molte ore e qualcuno in Italia cominciò a temere per la sua vita. Ricomparve, appunto, a Skopje e molti giornalisti, italiani e non solo, lo contattarono per farsi raccontare quanto era accaduto. Antonio Russo fuggiva la spettacolarizzazione delle guerre e le narrazioni dei circuiti mediatici mainstream, era diretto ed essenziale nel suo racconto e non c’era nell’orgoglio e nella passione giornalistica nessun auto compiacimento, nessuna promozione di se stesso. Addirittura, nonostante tanti lo chiesero, non ha mai venduto a nessun grande network, i reportage consegnati al Tribunale internazionale che documentavano la pulizia etnica di Milosevic. Il suo rifiuto della spettacolarizzazione, il suo essere franco e diretto, lo portò ad uno scontro in diretta con Enrico Mentana che continuava ad insistere sulla “fuga rocambolesca”, sulle dinamiche quasi cinematografiche della fuga di Russo e di tantissimi civili da Prishtina. All’ennesima insistenza di Mentana sbottò in diretta. 

Dopo la morte di Antonio Russo si sono succeduti numerosi governi in Italia, nessuno di loro ha mai chiesto spiegazioni e protestato con i governi russi, nessun governo ha mai chiesto un’inchiesta vera ed indipendente per avere giustizia sul suo omicidio.

Per ricordare Antonio Russo riproponiamo l’articolo pubblicato da Donatella Zappitelli su TerrediChieti.net e Histonium.net il 30 agosto 2022 dal titolo “Antonio Russo, martire dell’informazione libera e autentica”. 

Il 3 giugno del 1960, a Chieti, nasceva Antonio Russo, emblematico esempio di quell’amore per l’informazione vera e libera che ancora, a 22 anni dalla sua morte, sembra rappresentare quasi un’utopia. 

Nel mese di ottobre ogni anno fino al 2020 si è svolto il Premio Italia Diritti Umani intitolato ad Antonio Russo, organizzato dall'associazione Free Lance International Press (di cui egli fu vicepresidente), Amnesty International Italia e Cittanet. Antonio Russo finì in aperto contrasto con l'Ordine dei Giornalisti, cui mai si iscrisse in quanto non reputava da esso tutelati i lavoratori autonomi, i freelance che non dipendono da una sola testata o da una sola emittente ma si impegnano per offrire sul mercato un prodotto libero e fruibile senza essere mediato dagli interessi di singoli che impongono l'informazione dall'alto. L'informazione deve, infatti, fiorire e sorgere dal basso della vita tra gli uomini, reale, autentica.

Dalle parole di un’intervista rilasciata al sito di Rai Educational Mediamente, possiamo carpire quale fosse il suo atteggiamento verso l’informazione e verso il mestiere che, anima e corpo, lo spingeva a lottare:

“Le testimonianze dei miei reportage radiofonici sono state conservate nell’archivio della radio e anche trasferite via web. Questo è a mio avviso importante per due motivi. Il primo consiste nel fatto che bisogna comunque possedere una memoria storica. Questo è un dato che un po’ la tecnologia trascura. L’informazione valida è quella che abbia la possibilità di essere reperita storicamente. ‘Laudatur tempores acti’ diceva Dante, ‘si lodino i tempi passati’, in quanto ‘exempla’ di un’esperienza. Gli esempi storici si traducono nella capacità di analizzare il presente e prevedere il futuro con un fondamento abbastanza solido. In secondo luogo penso che la quotidianità dell’informazione attraverso la testimonianza diretta abbia un valore perché fa capire cosa realmente è in atto. C’è ancora parecchia confusione sull’informazione che stiamo portando avanti sul Kosovo. La possibilità di reperire i miei reportage e risentirli via web aiuta la gente ad avere un’immagine più precisa degli eventi in corso. Fondamentalmente noi dobbiamo ricordarci che l’informazione è un veicolo diretto all’utente, non è un soliloquio da parte del giornalista. Bisogna tenere sempre presente che chi è dall’altra parte deve poter comprendere una realtà in cui non è presente. Questo, penso, è il massimo sforzo che i giornalisti devono compiere”
 

Antonio Russo era un cronista freelance che, dalle prime esperienze in Algeria, Burundi, Rwanda, Colombia ed Ucraina, andò infine in Kosovo per l’emittente Radio Radicale per la quale lavorava dal 1995. Qui in Kosovo rimase fino al 31 maggio 1999, dove, unico giornalista occidentale nella regione durante i bombardamenti Nato, documentò la pulizia etnica contro gli albanesi kosovari. 

Morì nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000 in Georgia, a soli 40 anni. Il suo corpo fu ritrovato lungo una strada di campagna a 25 km da Tbilisi, con evidenti segni riconducibili a tecniche di tortura militari. Il materiale che portava con sé, videocassette, articoli e appunti, era scomparso, così come anche il luogo nel quale alloggiava a Tbilisi fu rinvenuto svaligiato (ma gli oggetti di valore non furono toccati). Un velo nero si estende tuttora a celare la verità sulle circostanze della sua morte. Dirà la madre durante i funerali svoltisi a Francavilla al Mare, sua città di origine: “La sola cosa che mi consola è che è stata una morte coerente con la sua vita.”
 

Lo ricordiamo come martire dell’informazione libera e autentica, punta di diamante del giornalismo freelance e persona esemplare che, fino alla fine, ha creduto fermamente nella necessità di offrire agli utenti un’informazione precisa, coerente e vissuta in prima persona perché solo coloro che vivono direttamente le esperienze possono poi raccontarle in maniera autentica e svelarle al pubblico senza artifici di sorta. 

 

Fonte foto: pagina facebook Associazione Antonio Russo – Radicali Abruzzo

 

 

 

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