Partecipa a Histonium.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

“Cedere ai ricordi ci fermerebbe, fare memoria ci deve permettere di vivere”

A Palazzo d’Avalos “i sentieri della memoria” con Amedeo Del Balzo e Gaetano Gravina, autori di “La strada di casa”, e Liliana Centofanti

Condividi su:

Una leggera improvvisa pioggia, alcune gocce cadute dal cielo e poi d’improvviso un arcobaleno splendido, mozzafiato, che ha colorato con forza l’orizzonte. In rapida successione, mentre il sole lasciava il passo alla sera ormai vicina ha caratterizzato l’ultimo scorcio del pomeriggio di ieri. Pochi minuti prima si era concluso presso la Pinacoteca di Palazzo D’Avalos l’incontro “I sentieri della memoria”. E con quella rapida successione, con le lacrime del cielo che poi è tornato a splendere colorato, è apparso suggellare. Riassumendo poco più di un’ora intensa, emozionante, vibrante. 

Chi è stato presente probabilmente è tornato a casa commosso, grato, emozionato, forse anche più consapevole. Sintetizzare il racconto dell’incontro con Amedeo Del Balzo e Gaetano Gravina, autori del romanzo “La strada di casa”, e Liliana Centofanti è probabilmente impossibile. Si può solo cercare di riportare alcune riflessioni, lasciarci prendere per mano dalla condivisione di emozioni e testimonianze, racconti e riflessioni. Di memorie collettive e personali. Come ci si può far prendere per mano da un ricordo che traccia solchi radicati nel presente per costruire il futuro. Senza dimenticare e, anzi, camminando con quel che è stato accanto a noi. È stato un incontro in ricordo di Davide Centofanti, è stata ricordata Antonietta Centofanti. Ed è nato un evento di memoria con Davide e Antonietta, presenti nel pensiero e nel cuore, nel cammino condiviso che si è snodato nella straordinaria cornice della Pinacoteca. Ha concluso il pomeriggio un intervento commosso dell’assessore Anna Bosco, che ha ringraziato Liliana per quest’incontro, per l’incontro con i ragazzi alcune settimane fa, facendosi voce di emozioni e di una commozione forte e sentita di tutti i presenti. 

“Raccontare è responsabilità verso se stessi e la società perché si immagini migliore – ha sottolineato Liliana durante l’incontro – cedere ai ricordi ci fermerebbe, fare memoria ci deve permettere di vivere”. Una memoria che “porta ad una resistenza tenace che permette di sopravvivere e andare avanti” e ci può permettere di restare umani, “se si riesce a rimanere umani si può costruire un futuro”. L’importanza di questa memoria l’ha sottolineato anche Del Balzo: “la memoria è memoria quando non è solo mera commemorazione ma insegnamento” ha ammonito. 

Ricostruendo la genesi del libro “La strada di casa” Gravina ha sottolineato che inizia dalla Seconda Guerra Mondiale, dagli orrori dei campi di concentramento, e si è concluso con altre macerie, quella del terremoto aquilano. La memoria, ha sottolineato Gravina, ha regalato spunti per un “racconto dinamico”. Che inizia nel 2010 quando morì una sorella di Del Balzo, missionaria in Brasile. Momento in cui si è riaperto il baule della memoria, si sono riannodati i fili di un percorso familiare e collettivo. L’ultimo capitolo del libro, che si conclude con una intensa poesia, è stato scritto da Liliana Centofanti in ricordo del fratello Davide, morto la notte del terremoto del 6 aprile 2009 sotto le macerie della Casa dello Studente a L’Aquila.

Raccontare le tante riflessioni, la commozione e la profondità della condivisione collettiva, quanto trasmesso e donato a chi è stato presente – coinvolto e attento fino alla fine – farebbe perdere alcuni dei colori, delle sfumature, e sarebbe una voce mediata. È più autentico lasciare che sia, invece, un racconto, una riflessione diretta. Sono molti gli “spunti della memoria”, i percorsi intrapresi e condivisi, donati e abbracciati. Dopo la conclusione dell’evento li ha raccontati la stessa Liliana Centofanti. Questo un sunto delle sue parole.

La memoria può essere meccanismo autoconclusivo: la commemorazione può fermarsi a dare strumenti per costruire simulacri o comunque luoghi in cui si cristallizza. Un percorso di memoria attiva deve servirci per capire dove andare e dove non tornare. Può essere autoanalisi per capire come agire per cambiare il mondo che ci circonda, lo è stato per l’antimafia, lo è stato per la Shoah. La memoria è un territorio comune che deve essere percorso in materia collettiva. Che ci porta anche ad ascoltare voci delle vittime collaterali, familiari e persone annientate da quanto accaduto, e che ci indica come andare avanti, come proseguire la vita. Che è possibile altrimenti il mondo si sarebbe fermato dopo il primo asteroide che spazzò via i dinosauri, la civiltà non sarebbe stata possibile. La memoria si configura come strumento per andare oltre, ci siamo riconosciuti come collettività. Andare oltre riconoscendo l’amore per la vita, a vivere. Che chi era accanto non ha più la possibilità perché annientato, avrebbe voluto. Memoria strumento riabilitazione personale, l’oltre è possibile anche in questo mondo terreno. Maledettamente umano, meravigliosamente umano. Con la forza dei sentimenti che a  volte ci spaventa portandoci a rinchiuderci come monadi. La condivisione è stata fondamentale perché ci sono dei momenti in cui la vita diventa insufficiente a contenere tutto quello che succede al suo interno. La vita non ci mette a disposizione degli strumenti, dobbiamo trovarli noi. Il confine tra la vita e la morte è soprattutto tra la dignità e l’oblio, confine molto labile e nebbioso. Nel momento in cui si capisce che avendo una vita terrena è possibile valicarlo per vivere come società civile e come individui, ci sono stati momenti in cui ho pensato di dover smettere, di fare altro. Ma quando stavo per raggiungere quel terreno mi sono accorto che un territorio franco non esiste, non avevo le coordinate. Se sappiamo dove stiamo andando è perché sappiamo da dove siamo venuti. Ci si può distaccare solo quando si fa pace con il passato, che ci rende unici nella nostra individualità e soprattutto cosa possiamo condividere perché siano materiali da costruzione comuni e cosa lasciare come momenti di tenerezza, di amore verso se stessi, che quanto tornano ci fanno scorrere una lacrima. Che fa parte di tutto quello che dovrebbe essere fatto e soprattutto ci ricordano che siamo vivi e che questa vita effettivamente in fondo continua a piacerci, sempre. 

Quelle lacrime ci dimostrano che anche nei momenti di smarrimento e perdizione, anche quando si pensa di essere altro, di essere diventati altro rispetto ad una cronaca quotidiana che tende a dimenticarsi. Perché si pensa che dimenticando si può andare avanti in maniera più produttiva. Nei meccanismi della memoria non esiste la produttività. Quel che invece deve venire fuori è una produttività emotiva che ci assicura la sopravvivenza. Anche quando il mondo scorre veloce fanno capolino, tornano, si insinuano in una serie di crepe che tutti noi abbiamo. Da lì effettivamente entra la luce, non per forza eccessivamente illuminante o catartica. Non c’è redenzione nella memoria. Alcuni riescono a trovare un fine più alto, altri riescono a trovare una dimensione di quotidianità. Permette a tutti di concepirsi ancora come esseri pensanti e di avere progettualità, anche dopo dolori collettivi aberranti. Nei numeri non c’è più dignità, quelle lacrime ci ricordano che siamo capaci di piangere, che è un diritto anche quando ci viene detto che non è giusto piangere perché si deve semplicemente andare avanti. Le lacrime sono capaci di innaffiare un terreno che altre dinamiche vorrebbero arido. Ma non siamo terreni aridi fin quando saremo in grado di indignarci e anche di avere molta tenerezza, nei confronti di noi stessi, di trovare il punto dal quale risalire. Anche se è sottoterra, le radici effettivamente non le vediamo e da lì si può rinascere. Le lacrime sono un seme, possono fertilizzare e fare da sprone a continuare un racconto che non è mai fine a se stesso ma in fondo è il racconto di tutti”. 

Condividi su:

Seguici su Facebook