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Siamo pronti all'autismo nella nostra società?

Nella Giornata mondiale della consapevolezza dell'autismo l'intervista a Marie Hélène Benedetti, presidente dell'Associazione Asperger Abruzzo

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Il 2 aprile ricorre la Giornata della consapevolezza dell’Autismo, data che dovrebbe richiamare l’attenzione di tutti, non solo di quelle famiglie che hanno a loro interno soggetti con una diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, ma anche istituzioni politiche, scolastiche, centri di aggregazione sociale, e singole persone. Qualcuno si starà chiedendo perché utilizzato il termine “dovrebbe” al condizionale, ed a questa domanda la persona più adatta a darci delle risposte è sicuramente Marie Hélène Benedetti

Mariè Hélène è la presidentessa dell’Associazione Asperger Abruzzo, ed è stata capace di riunire più di 200 famiglie con soggetti affetti da autismo, facendosi portavoce di parole e grida d’aiuto di tanti genitori, che troppe volte non hanno trovato orecchie predisposte all’ascolto ed autorità disposte ad aiutare. 

Con il collega Alessio Di Florio intervistiamo Marie Hélène in questa giornata così importante, ma è solo una coincidenza che sia il 2 aprile, perché sappiamo benissimo che per lei  tutti i giorni è il 2 aprile, proprio per la piena consapevolezza verso questa condizione,  vivendola tutti i giorni sui suoi due figli. Forse questa consapevolezza che stiamo cercando è al resto del mondo che manca e quindi abbiamo il dovere di darle voce, anche in nome di tante, tantissime altre mamme. 

Marie Hélène Bendetti, presidentessa dell’Associazione Asperger Abruzzo nata ormai un anno e mezzo fa: per questa giornata partiamo da alcuni spunti, e quindi vogliamo chiedere, com’è nata l’associazione? In che occasione queste famiglie si sono unite? Quando nasce un’associazione nasce da dei disagi, da delle problematiche, quindi Asperger Abruzzo è nata dalla spinta dei genitori che non si sentivano rappresentati dalle associazioni del territorio. Esistevano già associazioni che trattano l’autismo medio grave, con disabilità intellettive, però purtroppo per gli ex asperger autismo livello 1 c’è poco e niente. Le mancanze di queste famiglie erano anche le mie avendo io stessa due figli autistici, e così è arrivata l’esigenza di fondare un’associazione che abbracciasse l’autismo di livello 1, ed io non mi sono potuta tirare indietro perché vedendo le difficoltà che incontrano queste famiglie quotidianamente nell’ottenere i diritti per i propri figli mi sono sentita di intervenire, facendomi portavoce. Le leggi che ci sono in questo momento in regione per l’autismo sono tutte e a tutela dell’autismo grave, infatti a 18 anni l’ambulatoriale dedicato per il trattamento dei ragazzi ex asperger non viene riconosciuto. Quindi alla maggiore età terminano le terapie e rimangono in balìa del loro destino.

Torniamo alla consapevolezza dell’autismo. Primo punto: per chi non conosce e non ha mai toccato con mano l’autismo, come potrebbe descriverlo? E punto due: poniamo l’accento sulla parola consapevolezza. Esiste? A che livello di consapevolezza siamo nel nostro Paese? Siamo purtroppo molto lontani, lo dimostrano anche le esternazioni che la gente ha verso l’autismo. Prendiamo come esempio il lancio dei palloncini nella giornata del 2 aprile. Questo atto non serve a nulla, non vuol dire nulla, è solo un gioco, in realtà la consapevolezza dell’autismo sta nel prendere coscienza che questa condizione  fa parte della società e per questo dev’essere inclusa nella società con tutte le sue caratteristiche, non basta sapere che c’è, ma bisogna accettare di averlo fra noi, così da permettere a queste persone di farne parte. Le nostre infrastrutture non sono adeguate a tali persone, pensiamo ai neon o alle luci forti dei centri commerciali, bisogna rendersi conto che ad una persona autistica questa tipologia di illuminazione può arrecare gravissimi problemi, impedendo addirittura di entrare nei negozi. Stesso le leggi, attualmente esistenti, che impongono la presenza di lavoratori esclusivamente autistici per determinate mansioni, non vengono assolutamente dati. La consapevolezza dovrebbe partire dalla base, dalla diagnosi, già da lì noi incontriamo difficoltà perché soprattutto gli insegnanti si aspettano una qualche forma di stereotipia visibile per potersi convincere che siano autistici, ed invece insistono contrariati, nonostante una documentazione del Ssn messa nera su bianco che attesta lo stato del bambino, loro scuotono la testa puntando il dito contro quella diagnosi. Questo mette in atto una serie di pratiche poco appropriate per i nostri figli, che avrebbero bisogno di pause più lunghe, di classi con minor numero di alunni, di maggiori ristori anche fisici. 

Ha citato le leggi e la scuola, luogo tra i più importanti nella vita di qualsiasi individuo, ma comunque un’istituzione che fa capo ad altre istituzioni. In Italia, ma nel caso di specie nell’Abruzzo qual è la consapevolezza istituzionale, e di quali interventi eventualmente si avrebbe bisogno? Dirò qualcosa che a ad alcuni potrà sembrare poco credibile, anzi dirò di più, voglio spezzare una lancia a favore della regione Abruzzo: siamo la regione messa meglio di tutta Italia per quanto riguarda l’autismo. Abbiamo la possibilità di fare diagnosi, mi sono confrontata col gruppo Asperger Nazionale che è stato nostro ospite la settimana passata, e ci hanno spiegato cosa accade al di fuori. Beh, con grande piacere, abbiamo appreso che siamo la regione che ha più leggi a favore dell’autismo e che fornisce il numero più alto di terapie, una delle poche regioni dove è possibile fare diagnosi di livello 1. Neo della questione sono le liste d’attesa intasate e qui tutto si ferma sul più bello, perché carte alla mano si crea una barriera che non permette di progredire con le terapie. Così facendo la consapevolezza istituzionale non arriva, e non passa per i comuni nel comparto sociale

Quando pensiamo all’autismo, specialmente in ambito scolastico ed educativo, pensiamo sempre ai bambini, massimo alla prima fase evolutiva dell’adolescenza. Quando un ragazzo supera la maggiore età, fino ad arrivare a quella adulta, ed ha una diagnosi di autismo grave, rispetto ad un livello 1, questi ragazzi che fine fanno? Ci sono strutture capaci di far fronte alle loro esigenze in maniera permanente? In realtà per l’autismo grave in Abruzzo abbiamo il residenziale, quando i genitori non possono più occuparsi di ragazzi gravi esistono questi centri con pochissimi posti, quindi già un primo problema. Per tutti gli altri non c’è nulla. Conosco gente di 70/80 anni che gestiscono loro i figli finché ce la fanno, finché saranno vivi. E’ terribile. Quante volte abbiamo assistito in tv a cronache di figlicidi in tarda età, perché per loro è la cosa più ovvia da fare, trovandosi tormentati da un solo pensiero: che fine farà mio figlio una volta che io non ci sarò più? Me lo porto con me nell’aldilà. Un picco di disperazione di molti genitori  che io comprendo molto, ma che le persone che non hanno una persona autistica in casa non possono comprendere. Addirittura vengono messi nelle Rsa, strutture assolutamente non idonee ai nostri figli, che in quei casi, non possono far altro che sedarli tutto il giorno. Persino dopo la scuola non hanno chance. 

Quindi si può dire che c’è una negazione da parte della società verso queste persone, anche nel mondo del lavoro? Assolutamente si, quando vedono determinati atteggiamenti come agitare le mani o fare dei versi, i datori di lavoro si tirano indietro. L’autistico invece ha dei tratti caratteriali che valorizzano tendono a valorizzare con passione la mansione che svolgono, perché sono persone capaci persino di saltare il pranzo per dedicarsi pienamente al loro lavoro, arrivando a diventare addirittura esperti in quello che fanno

In quasi un anno e mezzo di attività con l’associazione vogliamo portare a galla gli aspetti positivi dell’associazione, quindi chiediamo quali sono state le attività pratiche di mutuo aiuto, o attività solidali? Ecco la prima cosa è stata proprio partire con il gruppo di auto-mutuo-aiuto, dal giorno in cui è stata creata Asperger Abruzzo, tutti i mercoledì ci colleghiamo alle 21.30 con le nostre mamme…. e qualche papà ogni tanto,  facciamo riunioni di supporto, le mamme più fresche di diagnosi attraverso il confronto imparano dal “senno di poi” delle altre, quindi si crea un supporto che là dove non c’è terapia inverosimilmente diventa terapeutico. Imparano che i loro figli non sono malati ma che sono solo diversi, e che hanno bisogno di qualche accortezza in più. Noi come associazione organizziamo anche gite volte alla socializzazione tra varie età di questi ragazzi, molte di loro mi hanno confessato commosse,  che per i loro figli,  anche una sola uscita di queste ha funzionato più di una seduta di terapia. Addirittura ho  mamme che tra di loro si sentono come sorelle, perché si sentono capite. Abbiamo poi sperimentato l’auto-mutuo-aiuto nelle varie fasce di età, e quindi tra adolescenti e in un secondo momento tra giovani adulti, abbiamo formato gli accompagnatori, siamo riusciti a far entrare 55 bambini per terapie dovute con la Asl, un record. Ora stiamo spingendo la Asl a togliere il rinnovo ogni quindici giorni e stiamo cercando di far trasferire in Abruzzo tutti i bambini trattati nel Molise, perché non fanno la giusta terapia. Abbiamo fatto ricorsi per 48 bambini per l’indennità di frequenza, per l’accompagnamento per chi ne aveva diritto, per la legge 104, il sostegno per alcuni di loro a cui non era stato ingiustamente riconosciuto. Insomma abbiamo tutti i numeri in regola, abbiamo fatto tanto.

C’è stato da poco uno scontro con l’Assessorato regionale, vuole parlarci in ultima battuta di questo confronto con i relativi ultimi sviluppi? Noi siamo stati invitati al tavolo tecnico scientifico, dove in realtà sono dovuta entrare di prepotenza perché inizialmente non volevano. E’ un errore insostenibile, solo le famiglie possono comunicare in modo adeguato le problematiche che incontrano quotidianamente, solo noi possiamo dare delle dritte per calibrare al massimo la terapia sui nostri figli. Alcuni pensano che io mi metta “di punta” per avere una posizione di pregio, di visibilità, non è così! A me non interessa tutto questo, a me interessa solo dare ai nostri figli i diritti che gli spettano, e solo sbattendo i piedi e facendo guerra riusciamo ad ottenere qualcosa. L’autismo non è sempre una disabilità, non è uno stigma, ma il problema delle famiglie è che non hanno accesso a quei diritti fondamentali che lo Stato gli concede e che le istituzioni ci tolgono.”

Impariamo ad ascoltare queste persone, ogni essere umano è unico e rispettarne la diversità equivale a difendere la propria e l’altrui libertà.

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