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Verso San Michele e spazio all'arte: il Patrono in una mattonella in ceramica dipinta a mano

La realizzazione di Michela Monteodorisio del laboratorio 'Creta Rossa'

a cura della redazione
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A grandi passi si avvicina sempre più la sentita ricorrenza di San Michele, Patrono di Vasto.

La figura dell'Arcangelo, nel corso dei secoli, ha sempre rappresentato un particolare spunto per svariate e pregevoli creazioni artistiche.

Nella sequenza di foto che pubblichiamo nella galleria sottostante la realizzazione di una mattonella in ceramica dipinta a mano da parte di Michela Montedorisio, del laboratorio 'Creta Rossa' di piazza del Tomolo a Vasto, ispirata dall'opera di Guido Reni (Bologna 1575, 1642). Nella mattonella è evidente il 'tocco vastese', con un'immagine di fondo della città.

IL SAN MICHELE DI GUIDO RENI (fonte Ministero dell'Interno) - Il dipinto è esposto nella prima cappella di destra, entrando, della chiesa di Santa Maria Immacolata Concezione dei Cappuccini di Roma. Prospetta su un grande ed elegante altare ligneo che, intagliato e intarsiato secondo la tipica tradizione dell’Ordine, probabilmente si deve a un ancora anonimo frate intagliatore, il quale, come informano le fonti, lo eseguì su disegno di fra’ Michele da Bergamo († 1641). Quest’ultimo, oltre all’arredo interno, progettò e diresse l’intera costruzione dell’edificio, combinando le nitide forme delle prime chiese cappuccine con il modello romano della basilica a tre navate. La chiesa venne eretta per elargizione del cardinale Antonio Barberini (1569-1646), detto Cardinale di Sant’Onofrio, fratello di Urbano VIII, e fu la seconda che i Cappuccini ebbero a Roma, lasciando per essa la precedente fondazione di Monte Cavallo, dedicata a San Bonaventura, patrocinata da Vittoria Colonna.

La nuova chiesa venne consacrata nel 1630 e gli storici dell’arte hanno ritenuto plausibile che la pala di San Michele Arcangelo venisse commissionata a Guido Reni tra questo anno e il 1636, data in cui essa risulta incisa presso la Stamperia romana dei de’ Rossi. In particolare, Stephen Pepper ha proposto che sia stata realizzata dal grande pittore bolognese nel 1635 su diretta commissione del Cardinale di Sant’Onofrio. In questo lasso di tempo, Guido Reni, al vertice della sua maturità e fama artistica, si era ormai stabilito a Bologna, dove, quindi, realizzò la tela e la inviò a Roma.

L’iconografia dell’opera, che all’epoca nella città papale già vantava di esemplari antichi e prestigiosi, è basata sulla visione di San Giovanni Evangelista descritta nell’Apocalisse in cui gli apparve: « […] un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano […che…] afferrò il dragone, il serpente antico – cioè il diavolo, satana – e lo incatenò […] » (Ap 20:1-3).

Tale possente visione è restituita dal pittore con un geniale taglio compositivo che, con un’originale interpretazione barocca, rende il senso irrompente dell’apparizione mediante il taglio delle ali sul limite del piano visivo e imposta il movimento potente e vittorioso dell’Arcangelo sulla diagonale sinistra del dipinto, dando moto vigoroso alla spada sollevata e brandita verso Satana incatenato e calpestato. Si tratta di un’equilibrata e complessa composizione, perfettamente disegnata nel gioco delle linee e calibrata nell’accordo dei colori e nelle chiare tonalità sfumate e argentee, sulla cui perfetta resa certamente influisce la scelta del supporto di ormesino di seta che ne facilita la sovrapposizione di velature e rende la superficie polita e vibrante al contempo.

La fortuna di questa immagine, replicata e reinterpretata nei secoli successivi e fino a oggi, generando a sua volta ulteriori capolavori di altri importanti artisti, può dirsi già sancita da Giovan Pietro Bellori (1613-1696), biografo e teorico del classicismo seicentesco, e dalle stesse parole di Guido Reni - esse stesse manifesto del “Bello ideale” dell’Arte! - che afferma avrebbe voluto: « […] aver […] pennello angelico, o forme di Paradiso per formare l’Arcangelo, o vederlo in Cielo; ma io non ho potuto salir tant’alto, ed invano l’ho cercato in terra. Sicché ho riguardato in quella forma che nell’idea mi sono stabilita ».

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