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ULTIMO NON SIGNIFICA PERDENTE...

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La giornata di calcio ha lanciato, ancora una volta, mille temi su cui si potrebbe discutere: dall'influenza delle grandi sugli arbitri all'incertezza nella lotta per l'Europa, dalla precarietà degli allenatori alla bellezza dei derby cittadini e regionali. Lo spunto migliore, tuttavia, me lo ha fornito una partita che troppi avevano dato per scontata e invece ha riservato la sorpresa più grande: il Bari, ultimo in classifica e dato per spacciato da molte giornate, si impone a Parma dopo una gara di cuore e orgoglio. Un risultato davvero inatteso per tutti quelli che si aspettavano una netta vittoria degli emiliani contro il fanalino di coda della serie A, e probabilmente per gli stessi giocatori del Parma, che a fine partita erano molto nervosi e dispiaciuti e hanno finito per prendersela con i colleghi baresi, "colpevoli" di aver fatto la loro onesta partita. Questo comportamento ha riportato alla mente di tutti un vizio che temo sia proprio del calcio italiano: pensare che una squadra senza nulla da chiedere al campionato (già retrocessa o già salva, per esempio) debba necessariamente "farsi da parte" quando affronta avversari che ancora devono raggiungere il loro obiettivo, perdendo senza opporre troppa resistenza. Quando questo non accade, quando la vittima sacrificale si trasforma inaspettatamente in carnefice e rovina le feste altrui, tutti gridano alla sorpresa e qualcuno, addirittura, se la prende per questo. Quello di Bari è stato solo uno degli ultimi casi (e nemmeno uno dei più eclatanti) nella storia delle serie A italiana. Solo per citarne qualcuno, voglio ricordare agli sportivi alcune delle partite passate alla storia per questi risultati del tutto imprevisti: a Mantova, nel '67, la grande Inter di Herrera vide finire la propria epopea, battuta all'ultima giornata da una squadra già salva (tra l'altro con gol di un ex, Di Giacomo); stessa storia nella "fatal Verona" del '73, con il Milan che fu battuto proprio all'ultimo quando già aveva mezzo scudetto cucito sul petto; più recente è il clamoroso crollo interno della Roma, battuta in casa nell'86 da un Lecce già retrocesso e costretta a dire addio allo scudetto; viene poi alla mente il diluvio di Perugia nel 2000, quando Calori consegnò alla Lazio il suo secondo titolo italiano fermando la corsa della Juventus; infine, l'ormai celeberrimo 5 maggio 2002, quando un Olimpico in festa per celebrare il titolo dell'Inter si trasformò in un muro del pianto di fronte all'inattesa reazione di carattere della Lazio. Casi più illustri di quello di Parma, ma che confermano quanto sia strano e divertente lo sport, in cui nessun risultato è già scritto prima del tempo. Troppe volte, tuttavia, i tifosi e i giocatori stessi di una squadra se la prendono di fronte a quelle che sono solo dimostrazioni di sportività e di orgoglio da parte dell'avversario. Vizio che tra l'altro è diffuso solo nel calcio nostrano: all'estero e in qualunque altro sport nessuno regala nulla a nessuno, tutti scendono in campo per dare sempre il massimo e onorare il torneo che stanno disputando, e ovviamente tutti accettano il verdetto del campo senza protestare. Bisognerebbe prendere esempio e smetterla di considerare determinate partite "scontate" solo per le differenze di livello, classifica e motivazioni. Anche perché, sinceramente, non mi è mai capitato di vedere qualcuno che scende in campo deciso a perdere...
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