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Violenza e retorica

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Dovendo scegliere un tema di attualità non ho avuto difficoltà a trovarne uno che, purtroppo per tutti, non cessa mai di essere protagonista della cronaca: la violenza. Osservando la natura notiamo che le creature fanno uso della loro aggressività per scopi del tutto legittimi, come ad esempio la sopravvivenza o la difesa del territorio ma in questo caso la parola violenza non è adeguata.

    Il vocabolo in questione nel suo significato immediato è associato all’idea di aggressività incontrollata; non a caso la parola violenza ha una forte assonanza con violare che nell’accezione comune è sinonimo di profanare, con questo termine intendo classificare un atteggiamento aggressivo ed incontrollato che non può essere giustificato in quanto offensivo verso ogni forma di moralità. L’unico essere “al mondo” capace di compiere simili gesti è l’uomo. La violenza è un problema nato con l’umanità e che trova le sue radici nella struttura estremamente complessa e, conseguentemente, delicata della sua natura.

     Ogni atteggiamento aggressivo, in natura, trae origine da un bisogno e certamente l’uomo non è esente da questa legge. Ma quale bisogno può spingere un essere umano a compiere le nefandezze di cui è capace? Certo questa è una domanda cui io non posso rispondere ma è indubitabile che dietro ogni gesto di questo tipo c’è l’incapacità, da parte di chi lo compie, di riconoscere e soddisfare quelle che sono le sue reali esigenze.

    Un dittatore non riuscirà mai nell’ intento d’ essere l’artefice di uno stato perfetto (cfr. Sir 20,4) semplicemente perché l’idea che ha di questo e i mezzi che usa per realizzarlo sono inadeguati (oltre che immorali); più questi sarà gonfio di orgoglio più, non riconoscendo i propri errori e proiettando il suo insuccesso nei suoi oppositori, sarà la causa di un macabro susseguirsi di violenze a effetto domino.

   La violenza, come purtroppo sappiamo, non è esclusiva del singolo e può esplodere nelle sue forme più drammatiche e aberranti fra le masse. Anche in questo caso ci troviamo di fronte al tentativo erroneo ed immorale di rispondere ad un bisogno. Gli atti terroristici del fondamentalismo islamico trovano origine dalla necessità non soddisfatta che questo popolo ha di integrarsi all’occidente e, a mio avviso, non ci sono altre vie che il favorire e promuovere questa integrazione visto che la rozza logica della repressione non ha fatto che inasprire e diffondere questo fenomeno (cfr. Libertatis nuntius, 7-8; Populorum progressio, 30-32).

    Seguendo la scia di questo Ragionamento emerge con evidenza quanto sia importante per la nostra società preoccuparci delle necessità dei più bisognosi, la radice dei problemi che affliggono l’occidente opulento sta nella bomba sociale che si nasconde nelle ingiuste sperequazioni che contraddistinguono l’attuale rapporto fra ricchi e poveri, nelle sottili (non sempre!) forme di prepotenza che il nostro sistema economico-politico (cfr. Pp, 56-57) compie nei confronti dei deboli per “autosostenersi”. Il terrorismo islamico è l’esempio di un crimine che risponde a un altro crimine, un fenomeno che, aldilà delle strumentalizzazioni dei potenti, non ha radici nel passato se non in quello immediato, ma piuttosto è la reazione disperata (ma ingiustificabile) di un popolo che rivendica il ruolo e la dignità che ha sempre posseduto e che l’epoca contemporanea gli nega.

    Nell’attuale crisi di rapporti che le nostre due culture stanno vivendo abbiamo delle precise responsabilità, quello di aver programmato uno sviluppo, se tale può essere considerato, che non ha tenuto conto del bene comune (Pp, 48). Noi Cristiani abbiamo doveri precisi (GS, 78; 83), siamo tenuti a testimoniare l’amore e la giustizia di Dio attraverso le parole e le opere… ma cosa abbiamo fatto concretamente per far fronte a questo tipo di problemi? Forse abbiamo gradito troppo il farci cullare dai rassicuranti discorsi dei maestri di retorica?

 

Fr. Umberto Pacifico Panipucci

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