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Fonte Nuova di Vasto tra la frescura e il silenzio: un luogo dell'anima

Umiliata dai vandali, implora aiuto, dignità e decoro

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Nel nostro quotidiano incontriamo molte cose: persone, oggetti, luoghi e, addirittura, con un termine recente i “non luoghi”: un'espressione per definire degli spazi più o meno alienanti che, il quotidiano, ci costringe a percorrere.

Non così Fonte Nuova di Vasto - che non si può che definire... un luogo dell’anima -, uno di quegli spazi dove, non solo per secoli è stata attinta acqua per uso agricolo e domestico, ma che, a tutt’oggi, non ha mai perso la capacità di generare l’incanto del sussurro dell’acqua che arpeggia “frasi musicali” per far nascere “incontri” con l’Invisibile, quel potere silente di far sostare il passante e rivelargli che è “Lei” che ha scelto di incontrare te e ... non il contrario, per comunicarti emozioni inesprimibili, quasi mute preghiere.

Un “luogo dell’anima” è la sintesi spirituale tra la natura e la somma dell’amore di tutti gli uomini che – nel tempo - l’hanno, curata, frequentata, amata.

E, Fonte Nuova di Vasto, è stato un luogo amato, molto.

A tutt’oggi, non possiamo che constatare che l’amore di cui è stata oggetto è stato tradito e umiliato dai vandali, ma anche da coloro che, abbandonandola con un silenzio assordante a tale stato di degrado, sembrano averne sottoscritto... il compiacimento.

Nel 2006, un’insegnante e una dirigente scolastica della Scuola elementare “G. Peluzzo” di cui ignoriamo i nomi, sposarono la causa dell’area tutta di Fonte Nuova, permettendo ad una scolaresca di  V^ Elementare di ripulirla da erbacce, immondizie varie e gli sfregi delle bombolette spray. Si impegnarono al punto che, dopo aver fatto pulizia, posero una tabella ricordo attaccata ad un albero. Ora tutto è di nuovo abbandono e deturpazione. Come si è potuto arrivare a tradire un lavoro fatto da bambini?

Non possiamo che constatare  con dolore la disfatta del più elementare senso di civiltà e umanità. La fontana è ferita, ma non si vede arrivare l’aiuto tanto atteso, neppure lo sfalcio delle erbacce.

Dei tanti ortolani che hanno reso fertile questo luogo e prosperato con il loro lavoro benedetto dalla sua acqua, è rimasto solo il signor Pietro di 82 anni, ultimo ortolano di Vasto che vaga in sofferto silenzio tra il selvaticume e lo scempio, nel ricordo del passato splendore.

Gli storici datano la nascita della Fonte al 1814 in località Via di Porta Palazzo.

Le sue tre  sorgenti furono captate per essere convogliate in una piccola condotta, che le trasportava alla primitiva Fonte che sorgeva vicinissima alla Chiesa della Madonna della neve. Sappiamo - da ricerche storiche dimostrate - che una bella strada di ciottoli la collegava alla città alta: un chiaro segno di uso umano e civico frequentissimo.

Erano trascorsi solo due anni dalla sua costruzione, quando la rovinosa frana del 1816 (la prima che la storia di Vasto ricordi in modo documentato) la travolse. Vasto, invero, ha sempre sfidato le sue frane ed ancora continua a farlo. Un dissesto idrogeologico – anche se ricorrente - non cancella una storia, una città e, pur nel tempo e/o in modo diverso, tutto ri-nasce e si ri-consolida, specialmente dove esistono memorie e tradizioni che ricordano: il sacro, la storia, la vita e, soprattutto, dove c’è amore per le proprie radici.

Fonte Nuova, rinacque e, forse, per la ferita che aveva provocato la sua perdita nei vastesi, tornò alla vita ancora più bella e solida. Prova ne è che fu ricostruita nel 1849 per volontà del sindaco Pietro Muzj, così come si può leggere sulla sua sommità ancora oggi “Pietro Muzj sindaco ergeva nel 1849”, ed è ubicata appena un po’ più lontana della prima, ma sempre nei pressi dei ruderi della chiesa rurale della Madonna della neve, patrona degli Ortolani di Vasto: una celeste protettrice cui essi furono devoti al punto da sostenere le spese per far stampare tanti anni fa, una preziosa immaginetta con la dicitura “Madonna degli ortolani”.

Il progetto per la  ricostruzione di Fonte Nuova fu redatto dall’architetto Nicola Maria Pietrocola nel 1832. La chiesa della Madonna della neve risalente al XVII secolo - anch’essa travolta dal movimento franoso del 1816 - non fu ricostruita perché il disastro ne ha risparmiato una sola parte di parete esterna ricoperta da rovi, mentre la bella pala d’altare - di autore ignoto -  è stata salvata ed è custodita nella chiesa di Santa Maria Maggiore.

La fontana, pur ricoperta di “ingiurie” riesce ancora a mostrare la sua elegante architettura: il ninfeo, l’acquario,  le lesene, i mascheroni in pietra. Essa, con la vicina antica casetta dell’ortolano Zi Filippe “a la fondanove”, le non lontane rovine della chiesa e le meravigliose piante di Alianto, che i vastesi chiamano “li nuce salivatiche”, denominato dai testi botanici anche “albero del paradiso”, fanno del Luogo un “Unicum”, una sorta di “cattedrale di verde silenzio” con le sue navate, i suoi contrafforti, i suoi pinnacoli dai contorni invisibili, ma... ben definiti.

Gli  armoniosi incroci dei loro rami e tronchi poi, guardati da una certa distanza, ritagliano da questo “duomo dei campi” piccole e grandi “vetrate istoriate” che catturano: l’incanto dell’azzurro del golfo, il verde della vegetazione e la luce del sole che le accende di meraviglia.

Gli altissimi fusti e chiome (circa 20 mt) delle noci selvatiche, incurvandosi e intrecciandosi tra loro, ne creano la cupola naturale color verde tenerezza, che il vento fa fremere in direzione della Fonte. Nei cespugli che circondano il muro della chiesa vediamo tante “cambanelle” o, come le chiama la fantasia popolare “le tazzine della Madonna”: campanule di un bianco innocenza e, poco lontano, quello dei fiori dai bianchi granelli degli alberi di sambuco.

La  Madonna della neve, anche con la sua chiesa in rovina, lascia cadere ancora - con  il segno di questi fiori,  piccoli e grandi... ”fiocchi  di neve” per dissetare terra e cuori. Un segno che invita a perseverare, a sperare che -  più prima che poi - si possa leggere su un programma elettorale qualsiasi che le note dello schioccolìo di Fonte Nuova  torneranno a cantare per sempre - nel decoro e nella dignità che la sua storia merita - l’antico canto abruzzese: “O che fresca fundanelle… e l’acque è belle... cant'allegre e va 'llu mare st'acqua chiare...”.

Foto di Ines Montanaro

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