Come da tradizione, nella giornata dedicata alla commemorazione dei defunti, oggi 2 novembre, l'arcivescovo Bruno Forte, alle ore 15, presso l’ingresso del cimitero, presiederà la concelebrazione eucaristica insieme ai sacerdoti della città.
Sono tante le persone che in questi giorni si recano nel cimitero per portare i fiori e rivolgere una preghiera ai propri cari ed anche ai conoscenti che hanno accompagnato la loro vita.
Anticamente le famiglie vastesi si preparavano a questa festa verso la fine di ottobre, quando spogliavano i giardini per preparare corone, ghirlande, croci e cuscini di fiori per adornare le tombe dei loro cari. Ai fiori si accompagnavano i lumi realizzati con vasi di creta, bicchieri con olio d’oliva, stoppini e lumini di cera, lampade ad acetilene o candele. “Anticamente di questi giorni”, ricordava Francesco Pisarri sulle pagine de Il Vastese d’Oltre Oceano, “le massaie prendevano dei grandi cassoni in cui si conservavano per la famiglia, manciate di legumi e li lessavano, mischiati insieme; e tutti di famiglia ne prendevano; e ne prendevano gli amici e se ne davano ai poverelli che venivano a chiedere l’elemosina per l’anima dei morti. Anzi quegli stessi legumi allessati si chiamavano eufenicamente «l’alme de li murte». E poiché fra essi abbondavano le fave, chissà se questo antico rito non traesse origine da quello antichissimo romano, per cui il «pater famiglias» accorgendosi che la sua casa era invasa dalle larve (o spiriti), per calmarle e allontanarle faceva suonare come un gong, dei vasi di rame e girava tutta la casa dicendo preghiere e scongiuri e gettandosi dietro le spalle delle fave nere, che andava man mano mettendosi prima in bocca e insalivandole”.
Nella notte tra il primo e il due novembre, le massaie lasciavano una conca ricolma d’acqua, “perché i poveri morti avessero agio di andare a bere e di rinfrescarsi le arse labbra e le visceri brucianti”. Francesco Pisarri ricorda ancora quando il primo novembre i ragazzi compravano delle pipette di creta con le cannucce colorate di rosso, verde o turchino e vi fumavano “lu spichifinucchie”, cioè i semi del finocchiastro. Questi giovinastri se ne andavano verso il cimitero, fumando la loro pipetta, ad imitazione degli adulti, fermandosi ad acquistare lungo la strada le caldarroste.
Di seguito una poesia di Fernando D'Annunzio intitolata proprio 'Due Novembre' (L'Alme di li Murte)
Lu ciéle ugge pare ca vo’ piagne...
‘Na nebbiulìne cale e ttutt’ ammande,
s’appòse pe’ le case e li campagne,
mentre la ggènde va a lu Campesande.
E’ l’Alme di li Murte, e lu pinzìre,
trište, aricorde chi nin gi šta cchiù.
Nu fiore, nu lumìne, ‘na prihìre:
-“Requiem aeterna”, pace a ttutte vu’.-
Quanta lòcule, tombe, cappèlle...
Quanta nume, fitografìje e date,
di ggènde che da sèchile šta ‘èlle
e ggènde che da poche j’à lassàte.
Aritròve micìzie e canuscènde,
e li pirzone care di famìje,
me l’arivede vive nu mumènde,
invéce già si l’à ritòdde Ddìje.
Camìne tra li tombe, préghe e penze:
Doppe la vite n’ gi pò šta’ lu “niènde”...
L’Alme ni’ mmore... E crésce la speranze
d’aritruvàrce ‘n Ciéle tuttiquènde.
(Fernando D'Annunzio)