“O Signore dei mondi, è perfettamente chiaro al Tuo cospetto che è nostra intenzione compiere la Tua volontà. Ma chi ce l’impedisce? Il lievito che è nell’impasto”.
Quest’antichissimo detto ebraico, che si trova nel Talmud babilonese,esprime bene la concezione della vita e della storia propria delle Sacre Scritture. L’Eterno ha avuto tempo per l’uomo, si è anzi destinato alla Sua creatura in un rapporto d’alleanza fedele. Il popolo eletto sa bene che la sua felicità sta nel destinarsi all’Eterno,facendo la Sua volontà. Eppure – lo riconosciamo umilmente – l’incontro s’inceppa: c’è nella pasta, di cui è fatto il tempo, qualcosa che ne trattiene la crescita verso il Regno della promessa di Dio. Bisogna cambiare il lievito del mondo: e questo può farlo solo un Dio che accetti di “sporcarsi le mani” con gli uomini, entrando nel tempo e facendolo Suo. Il passaggio del Mar Rosso è il grande evento della liberazione non perché l’uomo sia tratto fuori della storia, ma perché Dio entra e agisce in essa come il Signore dell’“impossibile possibilità”, il Dio della speranza, che schiude le vie dell’esodo e assicura la conquista del paese dove “scorre latte e miele”. La potenza del braccio del Signore è intervenuta in quell’ora drammatica perché il popolo pellegrino verso la terra della Sua promessa sapesse di non essere solo nel cammino, di poter anzi contare su un lievito nuovo, capace di far fermentare la massa del tempo verso la patria dell’eternità. Quest’evento fondatore viene sancito nell’alleanza del Sinai, dove ciò che è avvenuto una volta per sempre è consegnato alla memoria della fede, per sostenerla in ogni ora del pellegrinaggio del tempo. L’ebraico userà la parola “ziqqaron”, “memoriale”, per dire questa memoria che non è pura operazione della mente per andare dal presente al passato, ma compimento, riattualizzazione, per cui il passato delle meraviglie di Dio si fa presente qui e ora dove il Suo popolo celebra il passaggio del Signore, che consente il passaggio dal nostro esodo verso le sponde della libertà.
È questa la fede che celebriamo a Pasqua: “pesaq”, “passaggio”, è appunto il memoriale della liberazione, la festa della compromissione di Dio, l’inizio compiutosi una volta per sempre e attualizzato sempre di nuovo del pellegrinaggio verso la Terra della promessa del Signore. Così anche l’ebreo Gesù celebrò la Pasqua: e quando nella Sua ultima cena pasquale ordinò ai Suoi di “fare questo in memoria di Lui”, istituì il memoriale dell’alleanza nel Suo sangue, di quell’esodo che si compie nel Suo cammino verso la morte di Croce e da essa, attraverso il Sabato santo del silenzio di Dio, va verso la vita nuova della resurrezione, compiuta in Lui come pegno e promessa di quella di tutti coloro che crederanno in Lui. Per la coscienza cristiana l’alleanza mai revocata col popolo d’Israele trova nella Pasqua di Cristo non un’abrogazione, ma un inaudito compimento, a sua volta nuovo inizio nel cammino verso la Gerusalemme celeste. È per questo che i cristiani riconoscono nella fede d’Israele la loro “santa radice” (Romani 11,16.18) e possono rivolgersi agli Ebrei come ai loro “fratelli maggiori”, da cui hanno ricevuto la religione dell’esodo e del Regno, nutrita dalla fede di Abramo e dalla speranza dei profeti.
A questa memoria hanno reso onore Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel loro pellegrinaggio ai luoghi santi: e proprio riconoscendo l’eccellenza d’Israele nel cuore dei discepoli di Cristo, hanno testimoniato la novità inaudita del Profeta galileo che non ha voluto eliminare neanche un apice dalla Legge, ma è stato l’alleanza in persona, la Torah fatta carne, rivelando come la compromissione di Dio – che risplende negli eventi dell’esodo – si sia spinta fino al paradosso dell’incarnazionedel Figlio eterno per amore di tutto l’uomo, di ogni uomo.In un’epoca come la nostra, segnata dalla crisi degli orizzonti di senso offerti dai “grandi racconti” delle ideologie, nel desolante vuoto etico che ci presenta l’attuale scena pubblica del nostro Paese, la pasqua che celebriamo è veramente un messaggio straordinario di speranza, la testimonianza che il lievito nella massa può ancora essere rinnovato, per far crescere il tempo verso la sponda dell’eternità e tirare il futuro di Dio nel presente degli uomini. È l’augurio dell’Apostolo Paolo, giustamente fiero della sua identità ebraica: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi”. Ad esso lo stesso Apostolo, innamorato testimone di Cristo, aggiunge: “E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1 Corinzi 5,7s).
Buona Pasqua, allora, nella conversione del cuore e nella novità della vita che viene dal Risorto, grazie al lievito nuovo che il Suo Spirito effonde nel cuore di chi crede!