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La carica di Stefano Ramundo, il titolo italiano è nel ‘mirino’

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Intervista al pugile vastese Stefano Ramundo, portacolori della Crea Boxe Lanciano, a pochi giorni dal match contro Charlemagne Metonyekpon, in programma sabato 25 marzo al Palazzetto dello Sport di Lanciano. Determinazione e un duro e costante allenamento lo hanno portato ad avere importanti riconoscimenti:Ora voglio fare di più e conquistare il titolo italiano, dichiara e racconta qualcosa di più sulla sua storia e sulla boxe.

Gli ultimi giorni prima dell’incontro con Metonyekpon, valevole per il titolo italiano Superleggeri: come ti stai preparando?

Come sempre. L’ultima settimana prima di ogni match, devo stare attento all’alimentazione e concentrarmi solo sulla preparazione atletica e tecnica, eliminando gli impegni e le distrazioni secondarie.

Cosa hai in più del tuo avversario?

Direi la grande voglia di vincere questo titolo e di diventare il campione italiano della categoria pesi super leggeri al suo posto. Finora ho raggiunto risultati importanti, ora voglio fare di più e conquistare il titolo nazionale.

A che età ti sei avvicinato alla boxe?

Ho iniziato a praticare questo sport pochi mesi prima di compiere 16 anni e mi ha subito appassionato: prima della boxe avevo provato da molto piccolo il nuoto con buoni risultati, poi la sala pesi in palestra e il kung-fu, ma mi avevano presto stancato. A 16 anni ho fatto le prime gare di pugilistica; a 17, nel 2012 ho vinto il primo trofeo degli azzurrini, nel 2013 sono arrivato alla finale delle interregionali perdendo al terzo match su quattro.

Credevi di arrivare al livello di professionista?

Da ragazzo ho iniziato anche perché mi dicevano che ero un po’ iperattivo; la boxe mi ha aiutato a scaricarmi e a migliorarmi. Ho cominciato a combattere perché i miei maestri vedevano che mi impegnavo e che “ero una testa dura”, determinato e testardo. I primi tempi non pensavo al professionismo; da quando mi sono accorto di essere diventato solido fisicamente, ho capito che “il pro” mi avrebbe potuto dare più soddisfazioni del dilettantismo.

Come sei diventato un agonista?

Non penso di essere nato pugile, lo sono diventato grazie alla mia determinazione, all’impegno, al duro lavoro e allo spirito di sacrificio durante gli allenamenti.

Perché consiglieresti la boxe ai ragazzi?

Contrariamente a quanto si può pensare, la boxe a livello amatoriale è uno sport per tutti, che aiuta a migliorarsi, che tu sia una persona esuberante o timida. Se sei esuberante o tendi ad esserlo un po’ troppo, ti insegna l’umiltà e il rispetto per il prossimo; impari a dosare le tue energie e a sfogarle. Uscito dalla palestra dopo l’allenamento, sei sfinito, non hai energie in avanzo da impiegare in qualcosa di poco costruttivo. Se sei una persona timida, la boxe aiuta ad aprirti e a crearti una rete di amicizie, grazie all’empatia e alla bravura del maestro.

E’ uno sport pericoloso?

Da piccoli si inizia con un contatto quasi nullo con gli avversari, ci si tocca solamente; crescendo si indossano guantoni anti-shock e caschetto anti-shock che si tolgono solo se fai match professionisti. Direi che un rischio di gravi infortuni esiste solo a livello agonistico, come in tutti gli altri sport dal calcio al motociclismo.

Cosa risponderesti a chi considera la boxe uno sport violento?

Non è affatto così; è uno sport molto tecnico che si è evoluto nel corso del tempo; il primo obiettivo in un incontro è schivare i colpi dell’avversario e poi piazzarne di efficaci; non si colpisce a caso con il solo scopo di fargli male.

Un’ultima dichiarazione sull’incontro di sabato?

Sarà un grande match, molto emozionante: vi aspetto, non fatevelo raccontare!

 


 

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