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Angelo Pagano, “è l’opera c’avant lu mastr” (è l’opera che vanta il maestro)

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Sono trascorsi quaranta anni (ottobre del 1976) da quando un gruppo di amici al bar su proposta di Angelo Pagano ha creato la “Compagnia di Teatro Sperimentale” che in seguito ha preso il nome di “Renato Bevilacqua”, uno dei componenti della compagnia scomparso prematuramente. Durante tutti questi anni un gran numero di sansalvesi e non, hanno potuto trascorrere momenti di spensieratezza e riflessione su la storia, la vita, la cultura e le tradizioni delle nostre terre.

Questa è un po’ la storia di un uomo, della sua passione per il teatro, delle persone che è riuscito a coinvolgere, soprattutto a livello umano, in questo grande progetto  e di un pezzo di storia della nostra amata San Salvo.

Quando e come è nata la tua passione per il teatro e quali esperienze ti hanno più segnato da questo punto di vista?

Ho sempre preferito le materie umanistiche a quelle tecniche e per questo quando dovevo scegliere le superiori ho scelto il magistrale di Vasto. Il mio era un periodo in cui noi studenti cercavamo delle attività creative e in questa ricerca ci è venuta incontro una nostra professoressa che aveva proposto una rappresentazione teatrale. All’epoca nonostante ero molto timido, facevo la parte di un coprotagonista. Mi sono estraniato da tutto e mi sono talmente immedesimato nella parte e che ho avuto veramente la sensazione di essere un attore.  Era bello sentirsi un’altra persona perché ti dava l’occasione di vivere un'altra vita. E poi un artista ha il pregio di non morire mai perché lascia sempre un segno. Il teatro mi ha aiutato tantissimo non solo a migliorare il mio carattere ma mi ha anche imparato a riflettere con una chiave di lettura diversa. Quando facevo il militare a Ascoli Piceno sono andato a insegnare dizione e mimica a una scuola serale della moglie del mio tenente colonnello. Grazie al teatro ho anche conosciuto mia moglie. Nel 1976, insieme a un gruppo di amici abbiamo creato la compagnia teatrale “Renato Bevilacqua”. Dopo di allora ho recitato solo il Gesù di Nazareth. Ho scoperto la regia che mi piaceva molto di più perché mi dava la possibilità di insegnare ad altri quello che sapevo fare e di essere come il creatore di un bellissimo puzzle. Ho insegnato teatro in vari posti come il circolo anziani, l'Universita delle Tre Età, per sette anni al carcere di Vasto, a Montenero, a Mafalda e in tanti altri posti. Ultimamente ho tenuto un corso di teatro anche al “Mattioli” di San Salvo. Il trucco per essere ascoltati dai ragazzi è essere ben formati, saper scherzare con loro conservando la propria autorevolezza. I ragazzi non vogliono essere presi in giro.

E la regia come l’hai scoperta?

Una professoressa di musica, siccome aveva visto che mi piaceva il teatro, mi aveva regalato un libro sui metodi di regia. Poi ho seguito dei corsi di formazione e mi sono continuato a formare anche da autodidatta. Nell’aprile del 1980 Don Piero Santoro mi ha chiesto di fare una rappresentazione teatrale su Gesù di Nazareth e lì ho rivestito sia il ruolo di regista che di attore protagonista. Abbiamo fatto due rappresentazioni. In quella al campo sportivo hanno partecipato circa 4000 persone. Amo tantissimo anche scrivere i testi teatrali e quando lo faccio racconto del mio paese e della sua gente. A volte capitava che passavo davanti ai vecchietti che si usano fermare vicino al monumento dei caduti e li sentivo dire “zet, zet, ca mo’ pass quess ca dopp l mett sepr a lu teatr” (zitto, zitto che passa questo che dopo lo mette al teatro). Cosa che a me faceva davvero piacere.  

In questi 40 anni qual è il testo che più ti è rimasto nel cuore e ce n’è uno in programma?

“La Porte di La Terre” perché lo sento proprio mio ed è stato visto da almeno 5000 persone. Sì ne abbiamo uno in cantiere, dobbiamo solo scegliere in mezzo a tre proposte.

Tra il recitare, lo scrivere i testi e fare regia cosa preferisci?

Io amo scrivere tantissimo i testi soprattutto su eventi passati anche perché il futuro come diceva mio suocero “il domani non esiste perché non lo conosco”. E anche a livello personale io vivo il presente perché il domani non so. Le tre sfaccettature del teatro sono in realtà un tutt’uno, il passo è breve. Ma la regia è ciò che li tiene insieme. La cosa più bella è far fare quello che vuoi tu mettendoli in condizione di dare il meglio di loro ma con la loro testa. Quando vado ad assemblare i vari pezzi, il tutto deve essere equilibrato. Il regista è un allenatore che deve anche saper tenere unita la squadra. Il campione deve saper vestire anche i panni dell’umile. Uno spettacolo va bene solo se il regista è bravo.

Come fai a scegliere le parti e come riesci a ottenere questa sorta di equilibrio?

Al primo incontro faccio leggere il testo che è stato individuato assegnando a ognuno una parte in prospettiva anche delle parti finali. Ma poi osservo come leggono queste parti e se mi rendo conto che è necessario cambiare o se arrivano delle proposte dagli attori, cambio. Ogni storia parte da un’eccezione e l’eccezione è quella particolarità che individua ogni individuo che in sostanza è la ragione per cui esiste ossia l’impronta che lascerà sulla terra. Mia suocera diceva “è l’opera che vanta il maestro”. Non serve dire io, io.

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