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La marmellata della mamma a intermittenza

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Una mezza cassetta di pesche nettarine appena raccolte da mio fratello è bastata per farmi fare un tuffo nel passato quando i miei genitori erano ancora vivi e attivi.

Nei loro terreni coltivavano di tutto ma soprattutto pesche. Per diversi anni papà per gestire la raccolta delle pesche in famiglia aveva piantato tanti tipi con maturazione da maggio a settembre: ancora finiva la raccolta di un tipo ecco che ne cominciava un altro.

Inoltre nel periodo delle pesche i miei genitori facevano anche l’orto. E così quasi ogni giorno, dopo aver raccolto le pesche, si riposavano un oretta a casa e tornavano in campagna per curare l’orto.

Nei ritagli di tempo mia mamma Felicia si preoccupava di fare conserve, sottaceti, marmellate e simili così come le tradizioni contadine suggerivano.

Nel periodo delle pesche era sempre tempo di fare la marmellata: “è un peccato far andare sprecata questa frutta; ma quando la faccio?”. E così era sempre alla ricerca di tecniche e accorgimenti che acceleravano la lavorazione e migliorare  la qualità.

Dopo tanti esperimenti preparava  la marmellata in più riprese e in questo modo.  Sbucciava la frutta, la faceva a pezzi e aggiungeva un quantitativo minimo di zucchero e faceva bollire il tutto. Quando la frutta si cominciava ad asciugare, spegneva e ricominciava la cottura il giorno dopo. Il calore stesso della pentola e della marmellata facevano continuare la cottura senza la fiamma. Ricominciava la cottura e la continuava fino alla bollitura e spegneva.  Quando la frutta cominciava a perdere tutta l’acqua la frullava con il frullatore a immersione e continuava questa cottura a intermittenza finché “la prova del gusto e del cucchiaio” non dava questo risultato: al palato doveva avere la giusta compattezza e dolcezza; un cucchiaio di marmellata su un piatto, una volta raffreddata doveva avere un aspetto  lucido e non  doveva muoversi. Questa tecnica consentiva una migliore gestione del tempo (lei diceva che faceva la marmellata quasi senza accorgersene) ma soprattutto una migliore qualità della marmellata.  Talora alla cottura a intermittenza della fiamma, quando la marmellata si era cominciata ad asciugare quasi completamente, la esponeva al sole diretto per una sorta di essiccazione. Quando la marmellata soddisfaceva la prova del gusto e del cucchiaio, ancora bollente veniva trasferito nei barattoli di vetro. Dopo che si era formata la “pellicina” chiudeva i barattoli ermeticamente con appositi tappi.

A lei avevano insegnato a fare la marmellata in questo modo: sbucciare la frutta, farla a pezzi, aggiungere lo zucchero, mettere a cucinare e continuare la cottura sino a che questa no risultava asciutta. Quando si cominciava ad asciugarsi bisognava stare lì sempre a girare poiché era facile attaccarsi. Si otteneva così una marmellata scura a prescindere dal tipo e non esaltava il sapore della frutta utilizzata.

Un periodo aveva sperimentato la macerazione prima della cottura ma il risultato non era eccellente. Aveva provato  anche la pectina, un addensante per marmellate. Le ricette di marmellate con questo ingrediente, solitamente richiedevano un maggior quantitativo di zucchero e aveva come vantaggio dei  tempi di cottura molto ridotti e il colore era quello della frutta utilizzata. Ma al gusto mancava il “quid” e quando veniva utilizzata per fare i celli ripieni e altri biscotti abruzzesi, fuoriusciva tutto.

Altro elemento importante per la riuscita della marmellata era il quantitativo di zucchero da aggiungere alla frutta. Alcuni mettevano ogni chilo di  frutta 700 grammi zucchero, altri ogni chilo di frutta mezzo chilo di zucchero. Lei ha sperimentato questi vari rapporti ma l’esperienza l’ha fatta giungere a questa conclusione: la frutta non è sempre uguale e contiene di suo dei suoi zuccheri in base al grado di maturazione, al terreno dove è stato coltivato e dell’ esposizione al sole e altri fattori. Lei si regolava in questo modo: su tre chili di frutta cominciava ad aggiungere a inizio cottura solo un mezzo chilo di zucchero. All’inizio metteva un quantitativo minimo per favorire la separazione della parte liquida dell’acqua dalla componente compatta. Quando la frutta cominciava a d asciugarsi. L’assaggiava, si regolava ed eventualmente aggiungeva zucchero a più riprese.

Dopo tanti anni ho riscoperto la gioia di fare la marmellata in casa ricordandomi di tutti i segreti di mia mamma che ora non c'è più. Il sapore e il profumo è quello della genuità che ricorda la generosità di una donna che sapeva sperare anche oltre l'impossibile.

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