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Capannoni dismessi, sì alla riconversione ma a soli "fini turistici"

La posizione dell'amministrazione vastese in merito al progetto di legge regionale che rivoluziona le aree industriali abruzzesi

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"Si al cambio di destinazione d’uso dei capannoni dismessi, ma a condizione che la loro riconversione abbia solo finalità turistiche”. L’amministrazione comunale di Vasto fissa i paletti sul progetto di legge regionale che rivoluziona le aree industriali d’Abruzzo, prevedendo al posto delle fabbriche vuote ed in disuso centri commerciali, ristoranti ed impianti sportivi.

Il testo, già bocciato senza possibilità di appello dalle associazioni di categoria Confcommercio e Confesercenti, approda domani in Commissione Territorio, ambiente ed infrastrutture presieduta dal leghista Manuele Marcovecchio per una prima consultazione con i cosiddetti “portatori di interesse”, tra cui gli amministratori locali.

In vista della riunione il sindaco Francesco Menna anticipa al Centro la posizione dell’amministrazione. “La mia giunta ha già manifestato un indirizzo di contrarietà all’insediamento di nuove piattaforme commerciali in zone non previste dal piano regolatore”, è la premessa del primo cittadino, “pertanto l’unica riconversione possibile è quella per finalità turistiche con attività perfettamente compatibili con la riserva naturale di Punta Aderci e con quel turismo verde sul quale stiamo scommettendo. Tra l’altro sull’arretramento della zona industriale di Punta Penna, che convive con l’area protetta, abbiamo attivato da tempo un tavolo di confronto con l’Arap. Quindi si alla riconversione per fini turistici”, riassume il sindaco Menna, “ma un forte no all’insediamento di centri commerciali: a Vasto abbiamo un mercato saturo ed in crisi con ripercussioni sui livelli occupazionali dovuti ai licenziamenti di lavoratori”.

La situazione in cui versa l’area industriale di Punta Penna ha una sua peculiarità, visto che convive da diversi lustri con la riserva naturale di Punta Aderci, meta in estate di migliaia di visitatori. Si tratta di un agglomerato dove ci sono diversi capannoni vuoti che potrebbero essere riconvertiti per dare spazio a start up e progetti innovativi di scarso impatto ambientale.

Le richieste non mancano, ma non possono essere evase perché il piano regolatore non lo consente. Il primo tentativo di variante risale al 2007, anno in cui venne avviato un percorso di co-pianificazione insieme alla Provincia che poi si bloccò. Da allora è tutto fermo, ma per molti sarebbe auspicabile riprendere quel discorso alla luce della desertificazione industriale e delle problematiche connesse alla presenza della riserva naturale di Punta Aderci e di un sito di interesse comunitario (Sic).

Nel frattempo a Punta Penna alcuni capannoni sono stati venduti all’asta. E’ il caso dello stabilimento ex Imal Sud acquistato al fallimento da una società di Napoli al prezzo di 400mila euro, una somma di gran lunga inferiore al valore della perizia (1,7 milioni).

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