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Omicidio di viale Perth, il 24 gennaio si apre il processo d'appello

Fabio Di Lello, in primo grado, è stato condannato a 30 anni di carcere per l'omicidio di Italo D'Elisa

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Ore 9.30 di mercoledì 24 gennaio 2018: è il giorno in cui Fabio Di Lello, di Vasto, 34 anni compiuti lo scorso settembre, si presenterà all’Aquila davanti alla Corte d’Assise d’Appello, chiamata a confermare o, come lui spera, a riformare la sentenza di condanna a 30 anni di carcere emessa a suo carico per l’omicidio di Italo d’Elisa, 21 anni, di Vasto.

Il 24 marzo dell’anno scorso Di Lello fu giudicato colpevole, in primo grado a Lanciano, dell’assassinio premeditato del giovane che, la sera del 1° luglio 2016, al volante della sua automobile, passando col rosso al semaforo all’incrocio tra corso Mazzini e via Giulio Cesare a Vasto, travolse lo scooter su cui viaggiava Roberta Smargiassi, 34 anni, moglie del Di Lello, morta poco dopo in ospedale per le gravi ferite riportate nell’incidente.

Davanti ai giudici il panettiere vastese comparirà assistito dagli avvocati Pierpaolo Andreoni e Giuliano Milia, chiamati a ribaltare o, quantomeno, ad alleggerire la sentenza di condanna emessa la primavera dello scorso anno dalla Corte d’Assise a Lanciano. Con le parti civili, rappresentate dagli avvocati Pompeo Del Re del foro di Vasto e Gianrico Ranaldi, di quello di Cassino, chiederà invece l’inasprimento della pena il pubblico ministero, Giampiero Di Florio: per il capo della procura vastese quel delitto va punito infatti con l’ergastolo.

Era il 1° febbraio 2017 quando si verificò la tragedia che ha scosso, con Vasto, l’Italia intera: Fabio Di Lello, con la mente ancora a pezzi per la morte della sua Roberta, sposata da poco più di un anno, rientrando in macchina da Cupello vide Italo d’Elisa, accanto alla sua mountain bike, davanti al bar Drink Water, in viale Perth. Avvicinatosi a colui che, indagato per omicidio stradale, ma non ancora processato, riteneva essere la causa del suo inestinguibile dolore, Di Lello lo affrontò e, tirata fuori dal cruscotto della sua macchina una pistola semiautomatica, fece fuoco da distanza ravvicinata. Tre colpi, uno dei quali sul volto, freddarono Italo d’Elisa, accasciatosi a terra col telefonino ancora in mano. Allontanatosi dal luogo del delitto, Di Lello risalì in auto recandosi al cimitero a piangere come sempre, in particolare il 1° di ogni mese, giorno del triste anniversario, sulla tomba della sua Roberta. Voleva farla finita lì, Fabio, pistola ancora carica, ma poi, raggiunto dal luogotenente dei Carabinieri, Antonio Castrignanò, che un figlio l’aveva tragicamente perso da poco in un incidente stradale, si fece convincere a desistere e a farsi arrestare.

"E’ una vicenda molto delicata – dice l’avvocato Pierpaolo Andreoni – che merita il massimo riserbo e rispetto. La difesa ritiene per questo di dover mantenere la massima discrezione, anche alla luce del grande clamore mediatico del processo di primo grado e della emotiva partecipazione popolare. Fabio – aggiunge il legale – è fiducioso, sta affrontando con grande dignità il suo percorso di vita, ha assimilato il pentimento affidandosi alla fede e all’affetto dei familiari. Dopo la morte della moglie, nella mente di Fabio era cominciato un tormentato percorso che neanche le premure dei congiunti e le continue cure psichiatriche, erano riuscite ad alleviare".

Per Fabio, che poco o nulla sapeva di leggi e tempi della giustizia (il processo a d’Elisa era fissato il 21 febbraio 2017) il giovane che aveva investito Roberta era a piede libero otto mesi dopo il fatto. "Tanto bastò – sottolineano i suoi legali – a fargli perdere contatto dalla realtà, fino al tragico evento". E’ ipotizzabile che, a fronte della richiesta dell’ergastolo del pubblico ministero, la difesa cercherà di far valere l’assenza della premeditazione e delle altre aggravanti (il porto d’armi e la minorata difesa della vittima), invocando, come già fatto in primo grado, la perizia psichiatrica, finalizzata a valutare le condizioni psicofisiche del ragazzo al momento del fatto e la sua capacità d’intendere e di volere.

Fabio Di Lello sconta la sua lunga pena nel carcere di Lanciano. Al termine del processo di primo grado, così dissero, tra l’altro, i legali della famiglia d’Elisa, Del Re e Ranaldi: "In uno stato di diritto è importante che la giustizia la faccia un tribunale e non che si possa fare da sé. Riteniamo che la sentenza riconosca gli elementi d’imputazione che hanno fatto giustizia. La difesa ha diritto di fare appello".

Parallela alla battaglia penale, prosegue frattanto quella civile per il risarcimento alle parti civili: i genitori, Angelo e Diana, il fratello minore, Danilo, gli zii Luca, Andrea e Alessandro e i nonni di Italo d’Elisa, che riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Furci. Il 24 gennaio prossimo, per tre famiglie distrutte dalla tragedia, sarà di nuovo tempo di rivivere un dolore senza fine.

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