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Ai Giovedì Rossettiani Diego De Silva, lo scrittore delle ‘situazioni’

L'autore: “Ho cominciato a giocare con l’io e a scardinare le regole base del romanzo”

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Ancora la letteratura protagonista ieri a Palazzo d'Avalos per il quarto appuntamento dei Giovedì Rossettiani: ospite lo scrittore, sceneggiatore e giornalista di origine napoletana Diego De Silva, che con schiettezza ed ironia si è raccontato, ha spiegato il suo percorso e la sua evoluzione come autore, il suo modo di intendere la scrittura, ma anche il suo rapporto con il cinema e il teatro. Ad intervistarlo il professor Franco Nasi.

Sono diventato uno scrittore di situazioni piuttosto che di storie, queste non mi interessano più tanto, mi piace di più ciò che accade tra le righe, perché la letteratura è fatta anche di vuoti. Lo scrittore non può mettere tutto nel libro, e sono quelle cose che decide di non scrivere, ma che se è bravo volutamente fa intuire, che mi interessano. Quell'incidentalità della narrazione per cui mentre si parla si tocca un argomento diverso da quello che si stava trattando, qualcosa che stimola il lettore, portandolo per un po’ fuori dal discorso e magari stimolando una breve riflessione”. Anche quando è lui il lettore preferisce quelle opere che privilegiano le situazioni, “non mi interessa più la struttura di un libro”. La stessa cosa è per il cinema: “Ai film chiedo la sensazione, non la storia. Sarà per questo che mi piacciono i film francesi dove non succede nulla. Penso che molti registi usino i film come strumento per illuminare la fisicità di qualcuno”.

Questo suo concentrarsi poco nella storia lascia grande spazio anche all’interiorità dei personaggi, complessi ognuno a modo loro e credibili proprio perché rappresentati in tutta la loro problematicità. Uno fra tutti l'avvocato Vincenzo Malinconico, protagonista di tre sue opere ‘Non avevo capito niente’, ‘Mia suocera beve’ ‘Sono contrario alle emozioni’: “Con Malinconico ho cominciato a giocare con l'io. Scrivevo e mi divertivo, ridevo tantissimo. Scardinavo la regola base che va rispettata quando si scrive un romanzo: tieni il binario della storia, mantieni viva l'attenzione del lettore, arriva alla fine. Io facevo il contrario”.
Sull'avvocato, personaggio amato dal pubblico che ha un difetto morfosintattico per cui sbaglia ogni tanto a costruire le frasi, si è soffermato il discorso: “è un precario, nel lavoro come nei sentimenti, ed è la condizione di precarietà che crea questa forma di scomposizione del pensiero, di frammentazione. Questo spezzettamento è una delle cose che più mi interessano”. Un personaggio che ha risentito anche delle influenze di autori contemporanei emiliani, come Ugo Cornia e Paolo Nori, di cui De Silva apprezza soprattutto l’ironia distaccata, quel guardare alla vita con la consapevolezza che sono gli eventi a predominare e non noi.

Se l’interiorità e la complessità dei personaggi viene fuori così chiaramente, nei libri mancano invece le descrizioni estetiche delle persone e quelle dei luoghi: “Detesto le descrizioni già come lettore, mi lasciano freddo e distaccato, prevaricano la capacità immaginifica”, ha spiegato l’autore. Per lui è importante che il lettore abbia il diritto di fare di una strada la sua strada, di dare un volto al personaggio senza esser vincolato dalle scelte dell'autore.

Un’attenzione particolare è stata poi riservata a una delle prime opere dello scrittore napoletano: ‘Certi bambini’, la storia di un ragazzino assoldato dalla Camorra. “Erano i primi tempi che la Camorra usava i bambini e la cosa mi colpì molto. Decisi di usare un linguaggio asciutto, senza giudizio. Un’opera ancora attuale, e un tema affrontato poi molto bene anche da Saviano. Con le sue opere la letteratura ha consegnato al pensiero comune problematiche prima non discusse, ignorate dai più, come lo smaltimento dei rifiuti tossici”, ha commentato De Silva.

Da ‘Certi bambini’ è stato tratto anche un film, che ha ricevuto diversi riconoscimenti: “è stata un’esperienza divertente. Al cinema c’è un lavoro di gruppo, è un mestiere simile a quello dell'artigiano, c’è un continuo lavoro, cambiamenti che avvengono anche in corso d’opera con gli attori, il regista e i tecnici. Quello dello scrittore è un lavoro diverso, da nevrotici: ti metti davanti al computer e butti giù tutte le tue nevrosi”, ha puntualizzato prendendosi un po’ in giro. “Invidio i superficiali, ma non quelli stupidi, quelli che hanno delle passioni, le vivono ma semplificando tutto. Lo scrittore invece si fa invadere dalla vita. Io ad esempio sono uno che fa tante teorie, ad esempio sull’amore, anche esatte e me ne compiaccio, ma poi nella pratica combino certi casini…”.

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