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Giovani vastesi nel mondo: Emanuele Felice, professore universitario di Storia Economica a Barcellona

Nuova puntata nella serie di interviste curata da Nicola D'Adamo (NoiVastesi)

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Emanuele Felice, 35 anni, dal 2010 professore associato all’Università Autonoma di Barcellona, Dipartimento di Economia e Storia economica. In precedenza ha insegnato nelle università di Bologna, Siena e Siviglia. Intensa la sua attività di ricerca. Ha pubblicato 5 interessanti monografie  su temi economici, oltre 40 studi tra working papers in collane accademiche, ricerche su riviste, saggi o capitoli in volumi, recensioni. Ha partecipato (e partecipa)  a numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali. Parla inglese e spagnolo, conosce il francese e il catalano.


Emanuele, quali sono stati i passaggi che da Vasto ti hanno portato a Barcellona?

Ho frequentato il Liceo Classico a Vasto. Poi mi sono laureato in Economia a Bologna, 13 anni fa, quindi ho iniziato un dottorato in Storia economica a Pisa. Ho completato la mia formazione all’estero, alla London School of Economics, ad Harvard e alla Pompeu Fabra di Barcellona, sono tornato in Italia e dal 2006 al 2010 ho insegnato nelle università di Bologna e di Siena.

E perché poi hai scelto la Spagna? 

Il passaggio all’estero è stato quasi naturale, qualche anno fa in Spagna c’erano molti più posti che in Italia: nel 2010 ho vinto un bando da Visiting Professor all’Università di Siviglia e da lì poco dopo sono andato all’Autonoma di Barcellona. Non c’è una ragione precisa, ho seguito il mercato cercando di mantenere un po’ di autonomia intellettuale e, quando ho potuto, ho scelto l’università e la città che mi piacevano di più.

In questi primi anni di attività accademica cos'hai pubblicato? 

A partire dal 2005, ho iniziato a concentrarmi sulla stima e l’interpretazione dei divari regionali in Italia nel lungo periodo: cioè la ricostruzione del PIL regionale dall’Unità d’Italia ai nostri giorni, e poi le stime della produttività, del capitale umano, del capitale sociale, della speranza di vita e dell’indice di sviluppo umano. Su questo ho pubblicato alcuni articoli in italiano e poi nel 2007 un libro per il Mulino che ha avuto un discreto successo; quindi diversi articoli su riviste internazionali che mi hanno permesso di andare a lavorare all’estero. Recentemente, mi sono dedicato alla ricostruzione di lungo periodo (sempre dall’Unità ad oggi) dell’intera economia italiana, per settori (industria, servizi) e in totale (reddito, produttività), e quindi alla re-interpretazione della storia economica del nostro Paese. Su questo ho iniziato a pubblicare a partire dal 2010, su riviste nazionali e internazionali. Inoltre ho scritto cose più divulgative, ad esempio alcuni capitoli sulla storia dell’economia mondiale dagli anni 70 a oggi per il Mulino, e qualche volta − ma molto di rado − articoli o interviste per i giornali (L’Unità, La Repubblica). A parte fornisco un elenco delle pubblicazioni.

Di cosa ti occupi a Barcellona? 

Insegno all’Università Autonoma di Barcellona, corsi di Storia Economica Contemporanea e di Storia Economica Mondiale e, a livello di master, Sviluppo Regionale; faccio lezione in spagnolo, qualche volta in inglese. L’Università è abbastanza grande e conosciuta, più o meno la terza in Spagna per importanza. L’insegnamento occupa però solo una parte (minoritaria) del mio tempo. Il grosso è il lavoro di ricerca, che nel mio caso cambia molto poco a seconda dell’università in cui ci si trova: studio la storia economica, soprattutto italiana (per questo sono spesso in Italia), scrivo le mie pubblicazioni e partecipo a congressi e seminari. Viaggio molto, non solo in Italia che per necessità è la mia meta privilegiata; negli ultimi anni ho partecipato a congressi e ho tenuto conferenze in una dozzina di paesi e in quattro continenti. Per il resto, quando scrivo di solito lavoro a casa.

Quante lingue parli? Come le hai imparate? 

Parlo due lingue straniere, lo spagnolo e l’inglese, con le quali lavoro. Inoltre me la cavo con il francese e il catalano. Le ho imparate vivendo nei posti in cui queste lingue si parlano, e applicandomi un po’ nel loro studio. 

Tu lavori in un campo molto specialistico, cosa hai fatto per acquisire le giuste competenze? 

Oltre al cursus honorum (dottorato ecc. di cui sopra), la ricetta è semplice: ho studiato. Prima le cose più generali e anche un po’ dispersive, poi via via quelle più specialistiche e tecniche: dalle grandi sintesi sulla storia dell’umanità, giù fino ai software di econometria e agli articoli più dettagliati. Continuo a studiare, cercando di tenermi aggiornato sulle cose più importanti che si pubblicano nel mio campo (o meglio nei miei campi, che sono tre: storia economica, economia e storia), tanto in Italia quanto in ambito internazionale. Più o meno le cose me le sono studiate da solo, il tipo di dottorato che feci a suo tempo non era di quelli da cui si imparava molto. Anche andare ai convegni (meglio se internazionali) e frequentare i colleghi aiuta molto, se non altro per superare le inevitabili timidezze iniziali.

Il tuo è un ambiente internazionale molto stimolante, da italiano come ti trovi? 

Quasi a casa, nella mia unità di storia economica siamo 3 italiani su 15 (uno su cinque). Un italiano in una grande università europea non è mai isolato, trova sempre qualche connazionale, in genere molto disponibile anche sul piano umano. Le università straniere sono piene di italiani, anche quelle spagnole, mentre nelle università italiane gli stranieri scarseggiano… non solo per mancanza di risorse, ma anche per un deficit mentalità (“prima i nostri”, si pensa, figurarsi se si fa posto agli stranieri). Forse anche questo è un preoccupante segno di arretratezza culturale del nostro Paese.

Che progetti hai  per il tuo futuro? 

Per ora continuo con le mie ricerche, sullo sviluppo economico dell’Italia e sui divari regionali: ho qualche nuova pubblicazione in cantiere, che mi terrà impegnato per un po’. Dal punto di vista accademico e delle scelte di vita il futuro è piacevolmente incerto, bene o male mi muovo in un ‘mercato’ internazionale e potrebbe sempre capitare qualche buona proposta che mi spinga a cambiare città, come è stato nel 2010 con Barcellona. Comunque, se potessi farlo a condizioni dignitose mi stabilizzerei in Italia, non lo escludo per il futuro: con la nuova abilitazione nazionale le procedure di reclutamento nelle nostre università potrebbero migliorare e avvicinarsi agli standard degli altri paesi avanzati, e poi per me che studio l’Italia è questa la sede naturale.

E con Vasto come la metti? 

Torno poco, in genere qualche giorno a Natale, due o tre settimane d’estate, a volte a Pasqua. Quando vengo in Italia di solito mi fermo a Bologna, città in cui vivo da quando avevo 19 anni, che mi piace molto e con cui ormai ho più familiarità che con Vasto. È un po’ un peccato, perché Vasto è una gran bella città, tuttavia non è l’unico posto bello al mondo. Nell’insieme dà l’impressione di essere una cittadina molto devota, in senso lato, un po’ ostile al libero pensiero che invece può essere la vera forza di una comunità: ho l’impressione che nel lavoro contino ancora soprattutto i legami personali e familiari, mentre nelle relazioni affettive vedo ancora molta ipocrisia, sostanzialmente come quando ero ragazzo. Ma devo ammettere che negli ultimi anni ho visto dei progressi, si respira un’atmosfera culturale più aperta; credo sia soprattutto merito di quanti, miei coetanei o un po’ più giovani, invece di andarsene come ho fatto io hanno deciso di restare, o di tornare, per provare a cambiare le cose.

Cosa consigli ai giovani vastesi che intraprendono l’università o sono in cerca di lavoro? 

Consiglierei di tuffarsi nel mondo con un po’ di entusiasmo e con umiltà. E per questo, raccomanderei di studiare molto: seguendo le proprie inclinazioni ma anche predisponendosi al sacrificio; soprattutto, senza pregiudizi e con spirito critico. Il raggiungimento della felicità è sempre tortuoso e mai garantito, ma ceteris paribus sono quasi sicuro che l’amore per lo studio aumenti di molto le possibilità di essere felici… anche per un vastese ;-)

Ci piace molto quest’ultima frase. Il Sapere è una cosa seria, non è una imposizione dei professori. Lo “studio” aiuta molto ad ottenere successi nella vita. Al prof. Emanuele Felice che con determinazione e impegno ha già raggiunto ottimi livelli nel mondo accademico, i migliori auguri per un futuro ricco di affermazioni professionali e personali, con l’auspicio di rivederlo presto in Italia, come docente in una della nostre prestigiose università. Ad maiora.

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