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La riflessione: 'Questa città non ha ricordi...'

Vasto, estate 2011

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“Questa città non ha ricordi”. Non so a quale città si riferisse Pavese, ma l’annotazione mi torna a mente riflettendo al come appare la nostra Città del Vasto da un tempo assai lungo, durante il quale si è per così dire estesa, case-case e con qualche pala-chiesa, come a macchia d’olio, soprattutto senza un immaginato e convinto nuovo destino, senza un afflato dei suoi abitanti e governanti che possa dirsi e farsi storico. “Questa città non ha ricordi”. Vasto a un certo punto si è come vietata di averne. Questa città, che nel secolo scorso, in particolare tra gli anni venti e quaranta, ebbe uno straordinario fervore di opere, pubbliche e private, alla caduta del Fascismo ha voluto come perdere cognizione e memoria di quel che era stato progettato e fatto. Lo si è perseguito con furbizia e realismo ma senza senso e dignità storica, semplicemente asportando, dove possibile, le icone dell’abbattuta e a ragione abiurata ideologia totalitaria. “Questa città non ha ricordi”, fu come una parola d’ordine delle nuove classi dirigenti del dopoguerra che assieme alla “retorica” rinunciarono ad avere idee e passioni grandi e belle. Con i decenni successivi, in una sorta di “regime” anch’esso, apparentemente tutto democristiano e in realtà dal potere condiviso con la sinistra comunista e poi riformista, la città e la stessa gente si è idealmente immiserita. Si è perseguito un semplice “rimbocchiamoci le maniche”, “vediamo se riusciamo a portare qui da noi qualche fabbrica”, al “costruiamoci una nuova casa”, anzi sempre più case, dette “moderne”, grigie d’intonaco cementizio, prive non solo di stucchi, modanature laterizie e fregi, ma di un vero amore per il manufatto, per il luogo e il suo porsi urbanistico. “Questa città non ha ricordi”, se non archeologici (da Histonium, mal sopportati e trascurati) o attardati nel tempo del Vate Rossetti e dei Palizzi, artisti più napoletani che vastesi. Incapacità, dunque, o non più voglia persino d’imbarcarsi in ‘sogni’ buoni e necessari a immaginare una nuova Vasto, ancorata sì alla sua storia di municipio romano e di gastaldìa o Guasto d’Aymone, ma necessariamente in crescita nel tessuto urbano e demografico, nelle prospettive occupazionali, vogliosa e capace di elaborare una propria offerta culturale e turistica. Quel che resterà di questa estate 2011 sarà soltanto il dibattito (alla lunga ozioso) su quale sia l’ora di notte in cui far cessare la musica d’intrattenimento al bar (mentre s’ignora quel che si fa, o non, nel resto del giorno, al mare e in città). Sarà la questione del Fosso Marino, scolo d’acque piovane e liquami diversi che naturalmente defluisce in mare, ma che non può restare fra palustri canneti in spiaggia e poi a vista, se non impantanando in esso la stagione estiva e i nostri operatori turistici. Questa città ormai priva di ricordi fondanti, politicamente e socialmente “astenuto” nel presente, appare persino senza voglia di futuro, non solo estivo e vacanziero. Nello scorrere ineluttabile delle stagioni, ci sarà un’altra estate e con essa il Comune nostro ancora impantanato nel “fosso”, non solo marino, o mortalmente ferito da una strada statale che “corre nell’abitato”, ma che dovrebbe avere un suo percorso ormai diverso e altrove.
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