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IL MESTIERE DI FILMARE I LUOGHI 'FERITI' DI TUTTO IL MONDO: ENRICO BELLANO INVIATO DEL TG1 IN LIBIA

Il cameraman-giornalista è originario di Cupello

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Nei luoghi feriti del mondo, con l’amata telecamera in spalla. Enrico Bellano, 48enne cameraman della Rai di origini cupellesi, è in questi giorni in Libia. Fa parte della troupe del Tg1, assieme al giornalista Pino Scaccia, che confeziona e realizza servizi dal Paese ultimamente alla ribalta, e non per belle notizie, nelle cronache di tutto il mondo. A Tripoli, a Bengasi, Bellano è sempre operativo, pronto a filmare quel che è possibile filmare, considerando tutti i rischi del caso. Bellano è nato a Roma, da genitori cupellesi trasferitisi nella capitale. Lavora in Rai dal 1987; dal 1996 è giornalista professionista, telecineoperatore ed inviato speciale del Tg1. Fra i principali servizi cui ha collaborato: ‘Terremoto ad Assisi‘, ‘Narcotraffico in Colombia‘, ‘Le armi chimiche nell’Urss‘, ‘Il G8 a Genova‘, ‘La strage delle Torri Gemelle‘, ‘Le guerre in Kossovo, Afghanistan, Israele e Iraq‘.Ha vinto due volte (nel 1999 e nel 2000) il Premio ‘Ilaria Volpi’ e, all’estero, ha avuto riconoscimenti al Montenegro Film Festival, al Portogallo Mapt ed al Festival Fipa di Biarritz. Quando può, torna a Cupello, lo fa spesso durante l’estate e nel 2003, tra l’altro, l’amministrazione comunale retta dall’allora sindaco Panfilo Di Silvio gli ha conferito la ‘cittadinanza onoraria’. “Ero presidente del Consiglio comunale nel periodo di quella seduta straordinaria - racconta l’attuale sindaco di Cupello Angelo Pollutri - Enrico e la sua famiglia sono di casa a Cupello”. Inviato in zone di guerra, ormai ci ha fatto ‘il callo’. Prima della Libia tappe in Bosnia, Kosovo, Palestina, Iran, Afghanistan, Iraq. Dove c’è, spesso, da raccontare il dolore, la morte, le ferite, per un lavoro duro e rischioso ma che ha scelto con convinzione e senza indugi. “E’ il nostro lavoro - diceva Bellano in un’intervista di qualche tempo fa - nessuno mi ha obbligato a farlo e nessuno mi obbliga ad andare in questi posti. Eppoi noi rischiamo la vita, ma gli ospedali sono pieni zeppi di civili, bambini, donne, giovanissimi e anziani: loro sono le vittime vere”.
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