Partecipa a Histonium.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Storie di Natale in musica a Vasto

A proposito di due concerti: del Coro Polifonico Histonium, e del Coro Stella Maris

Condividi su:
Non parlerei di «Concerti di Natale», ma di «Concerti sul Natale» per quelle magnifiche esecuzioni musicali dal vivo che il Coro Polifonico Histonium e il Coro Stella Maris offrono alla città da molti anni. Non utilizzano una grande occasione di festa per esibire il proprio repertorio, ma si misurano con la costruzione di un percorso ad hoc capace di interpretare all’interno della stessa tematica una scelta progettuale modulata sul proprio stile. Il «Concerto sul Natale» è una macchina complessa che richiede un forte lavorio elaborativo del programma: in altre parole, il raggiungimento del più alto registro espressivo possibile sulla base delle risorse disponibili. Che dire, ad esempio, dello “Stella Maris” diretto da Paola Stivaletta. Sono rimasto sorpreso di fronte alla resa artistica di un organico di appena venti elementi (quattro soprani, quattro contralti, sei tenori, sei bassi) in accordo (anche se inusuale) con un gruppo strumentale di quattro viole da gamba (Daniela Belfiore, Pino Borromeo, Peppino Forte, Paola Stivaletta). Qui lo spirito del syntagma musicum ha trasformato l’organologia dei cordofoni nel magico accompagnamento d’antan di una notissima piéce del 1885 di William J. Kirkpatrick – Away in a manger, che conoscevo attraverso l’interpretazione di Bing Crosby e inizialmente ritenuta l’adattamento di una ninna nanna composta da Martin Lutero –. Con buona pace di tutti, in questa forma ho ascoltato un brano del tutto sconosciuto, dal colore intensissimo, che rivela la sua vellutata dolcezza solo nel momento in cui viene sottratto all’orrendo abito di canzone pop per il Natale. Tra i medieval carols proposti dal Coro Stella Maris merita particolare attenzione il quattrocentesco Nowell sing we con l’interpretazione all’organo portativo di Pino Borromeo. Com’è noto, in questo strumento è il suonatore che, attraverso il mantice, determina con la mano sinistra la pressione dell’aria. E’ possibile ottenere piccole variazioni di intensità sonora a fini espressivi assimilabili a uno strumento a fiato. Così facendo diventa solo merito dell’interprete (e Borromeo merita tutto il nostro plauso) se tutte le nuances timbriche della composizione hanno saputo arricchire la coloritura sonora del coro (va annotata, tra l’altro, la solida partecipazione delle voci bianche). Dal canto suo, Paola Stivaletta ha optato per un originale repertorio largamente centrato sulla cultura musicale del profondo Nord. Dal cosiddetto Cancionero de Upsala pubblicato nel 1556 alle Piæ Cantiones ecclesiasticæ et scholasticæ veterum episcoporum (“Devote canzoni ecclesiastiche e scolastiche degli antichi vescovi”) pubblicato nel 1582, la direttrice dello “Stella Maris” trae almeno tre inni (Verbum caro, Yo me soy la morenica, Gaudete) che danno il senso storico dell’articolatissima circolazione musicale nel Rinascimento europeo e del modo in cui la cultura mediterranea viene assimilata, insieme con il culto di S. Nicola (Santa Claus), nel remotissimo mondo delle fredde terre scandinave. C’è sempre una sorta di kénōsis personale nella ricorrenza natalizia. Una sorta di «svuotamento» del pensiero che riconduce il soggetto a andare verso le «cose stesse»; quelle, cioè, che, le mani dei bambini, consentono di pensare mantenendole nell’esercizio di un continuo fare. E proprio perché queste «cose» tornano a vivere ricostruendole «davanti alla siepe» (prae-saepes), esse ci riconsegnano la possibilità di un mondo nel quale la mano e la tattilità danno un senso profondo alla cura e all’intelligere del sé cui siamo “altro” con il nostro viso. Il Natale è il periodo in cui gli uomini si trovano come obiectum la propria infanzia (obiectum deriva da obicere, con il valore di «gettare contro», «porre innanzi»). Questo «porre innanzi» la cosa si traduce nel presepe che incontriamo davanti ai nostri occhi allo stesso modo in cui ascoltiamo il concerto sul Natale che proviene frontalmente dall’area sacrata della chiesa destinata ai coristi durante le funzioni liturgiche. E allora se è vero che, anch’io nel mio minuscolo presepe, ho potuto inserire un’iscrizione apostolica a me molto cara – l’Agnostō theō (“Al dio sconosciuto”) di Atti degli Apostoli 17, 22-31 –, è ancor più vero che l’amico Luigi Di Tullio, direttore del Coro Polifonico Histonium, ha saputo saggiamente prospettare nel suo discorso musicale sul Natale, tre Christmas carols anglicani di Christina Rossetti, proprio nella Chiesa (S. Maria Maggiore) in cui è stato battezzato il padre Gabriele. Il presepe di Christina è molto diverso da quello cui siamo abituati («Angeli ed arcangeli/si saranno ritrovati là/Cherubini e serafini/avranno affollato l’aria/Ma solo sua madre/Nella sua virginea felicità/Adorò il suo Amato/Con un bacio»). In quello della poetessa vittoriana l’unica “teologia” che prevale è l’affetto materno. Di là dall’annunzio del Messia, ciò che conta è il tenero bacio di una madre che avvolge il volto della sua umanissima creatura. Ecco allora che il coro delle voci bianche dell’Histonium intona In the bleak midwinter (1872), Love came down at Christmas (1885), The Shepherds had an Angel (1856) cui solo la vocalità infantile può dare la giusta coloritura espressiva. Le musiche di Gustav Holst, John Borland, F. L. Wiseman e J. C. Bridge accompagnano i versi della Rossetti. Una scelta molto rigorosa che, quest’anno, esclude dal proprio orizzonte le partiture ugualmente note di Harold Darke (la cui combinazione con le rime di Christina viene ritenuta il mi-glior Christmas carol della storia) e di Reginald Morris sulle quali è stata costruita una diversa tradizione di college choir (quella, ad esempio, del King’s College di Cambridge). Dal canto suo, il quartetto d’archi dell’“Histonium” (Alessandro Pensa, Eleonora Di Ludovico, violini; Alessandra Terra, viola; Fabrizio Fabiani, violoncello) conferisce una forte cifra romantica alla scelta dei mo-vimenti dal Magnificat BWV 243 in Re maggiore di J. S. Bach. In buona sostanza, il tocco di Luigi Di Tullio ha conferito un delicato esprit romantique alla serata, anticipando un Natale materno e non trionfante nel quale si dispiega, in piena sintonia con i nostri tempi, una certa sobrietà di toni. Notevoli. Davvero notevoli questi due concerti sul Natale. A riconferma di un dato: la splendida e consolidata realtà del movimento corale di Vasto.
Condividi su:

Seguici su Facebook