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LETTURA DI UNA MOSTRA: LA NOTTE (DENTRO) DI SOPHIE LELIEVRE

L'esposizione fino al 10 settembre nella Sala Mattioli a Vasto

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Non ho avuto modo di conoscere personalmente Sophie. Di lei, della sua arte, della sua triste fine, me ne ha parlato di recente Michele Montanaro, curatore assieme agli amici dell’Arci della mostra "Sophie Lelievre, bella ciao, une année en Italie”, allestita alla Sala Mattioli di Vasto per stima e in segno di affetto per la bella ma sventurata bretone. Sophie Lelievre, nel suo trascorso in Italia e dalle nostre parti, cercava forse il sole, simbolo di una ragione di vita che fosse chiara e splendida. Sembrava che l’avesse trovato, scriveva che lo rimpiangeva, tornata in Bretagna o vivendo a Parigi, ma sul piano esistenziale a quanto pare non le è bastato, o non le è stato sufficiente a sanare quel che di oscuro teneva di dentro. C’è chi afferma che l’arte è salvifica, e in certi casi può esserlo, in altri a quanto pare assai meno, soprattutto se l’arte che fai o che sei costretto a esercitare, per vivere, non è quella che vorresti. Una mostra d’arte che ripropone per più versi temi esistenziali e artistici, ma l’uno e l’altro in questo caso s’intrecciano inevitabilmente, e se non danno spiegazioni ultime (sulla creazione d’arte e su vita e morte) in tutti i sensi ci danno da ri-pensare il vivere di ciascuno di noi. Sophie, giovane, dagli occhi seducenti, armoniosa nel fisico, “solare” nel porsi - leggo in catalogo alla mostra - … danseuse, di sicuro talento artistico, vogliosa di vivere, di viaggiare, di conoscere…, aveva una sua notte dentro. Lo percepiamo dalle sue immagini esposte (altre simili le si trovano nel web). Le sue persone, le sue figure stanno (sedute o in piedi) spesso in un interno, dietro delle grate, delle finestre appena socchiuse, come imprigionate, dolenti e in attesa di ‘uscire’, di proiettarsi fuori in un mondo meno privo di costrizioni, di condizionamenti fisico-economici, di più rasserenanti e godibili cromie, quelle che aveva conosciuto sulla nostra costa, ma che solo minimamente (si veda Marina con trabocco) lei era riuscita ad accogliere sulle sue carte e tessuti. I suoi colori, o meglio: i suoi chiarori affogati nelle ombre, sono e restano immagine-metafora di un tentativo di trovare luce nel buio, di uscire dall’ombra (nel mestiere non approdato ancora al “successo”, da un’arte semplicemente e banalmente descrittiva e decorativa, trompe l’oeil, esercitata per sbarcare il lunario). Lei dipingeva nel suo spazio d’arte più originale con il colore della terra, i bruni, le ocre, un rossiccio assai bruciato, un velo di grigio, e se immetteva negli impasti tonalità di verde e d’azzurro aveva bisogno di stemperarle e quasi annullarle sino al nero di fondo. Lei amava la musica, mi dicono. Non era capace di ‘farla’ ma, da quel che vediamo, era affascinata da ritmi e melodie e soprattutto dai gesti semplici e magici dei musicisti, dalle forme fatte di dardi e volute degli strumenti. Ma se la musica era per lei gioia, stimolo a movenze istintive e aggraziate del corpo; se i musici erano per lei “miti ed eroi” di riferimento, li vediamo pur sempre tracciati appena, immersi in un magmatico impasto di forma e colore che ci fa solo intravvedere le loro figure, i gesti strumentali, le mani. C’è struggimento per qualcosa che si vorrebbe, non gioia, nel dipingerli. Come in altre vicende di arte e artisti, beneficati e pur vittime di un’ipersensibilità e fervida immaginazione, nell’età moderna come non meno in altre epoche, la vicenda umana e artistica di Sophie Lelievre testimonia quello che è definito “il mal di vivere”, l’incapacità di accettare il peso quotidiano e corruttibile del nostro corpo e le necessità materiali che lo tengono in vita. Una sorta di ribellione dello spirito. E’ capitato a lei di volerlo liberare il suo, di brutto, con un salto nel vuoto, dall’alto, oltre la rete di un ponte. Ci resta la sua immagine bella, quel desiderio espresso nelle sue parole scritte agli amici di voglia di vivere e un volerla di fuori, non al chiuso, non al buio, non in solitudine, direi un’esistenza …en plein air: nel mondo e fra gli altri. Quel dono di vita che lei non è riuscita a dare a se stessa - pur cercandolo nei viaggi, nell’amicizia e nell’amore, nell’esercizio d’arte, manifestandone voglia e piacere - ma che in certo modo, dalla sua notte ultima, ci invita a cercare. Certo, occorre crederci, magari avere una Fede, quella che forse lei non ha avuto o a un certo punto le è mancata.
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