Il beato Carlo Acutis sarà canonizzato tra due settimane entrando così tra i Santi della Chiesa Cattolica, l’appuntamento per la cerimonia è il 27 aprile. A pochi giorni dalla Pasqua nel nostro territorio sarà possibile accostarsi alla sua figura per alcuni giorni. Arriverà, infatti, oggi pomeriggio nella parrocchia di San Giuseppe a San Salvo la reliquia del futuro santo. Alle ore 18.30 è prevista la Santa Messa insieme alla parrocchia di San Nicola per accoglierla.
Il dolore, la sofferenza, la morte accompagnano la vita umana da sempre. Misteri insondabili che ci interrogano ma senza che si possa trovare una risposta, una spiegazione. Persino Gesù Cristo non è stato esonerato. Vorremmo sempre vivere nella gioia e nella felicità, vorremmo sempre vivere accanto ai nostri cari ed averli vicino. Ma non è possibile, l’ineluttabilità della vita umana impone altro. Antichi retaggi sociali e religiosi restituiscono un’idea della sofferenza come punizione, come castigo, e nulla più. Ne vien fuori il messaggio di un cristianesimo che impone pesanti fardelli. Se Cristo avesse subito la più atroce delle sofferenze non per Amore ma per castigo, nato senza peccato e figlio di Dio, quale Fede sarebbe? Ma Dio, come purtroppo a volte lo si fa apparire, non si diverte a far soffrire, a imporre punizioni crudeli per passatempo o poco più. «La felicità viene dal cuore – ha detto ieri Papa Francesco - ci scopriamo più infelici, perché non sentiamo più pronunciare il nostro nome da qualcuno che ci vuole bene gratuitamente». Scansare il dolore e la sofferenza non è possibile. Ma si può evitare di farsi sopraffare, gli strazi e le lacerazioni del cuore, dell’animo, delle vicende di questa vita permettono di capire il dolore e la sofferenza degli altri, di guardarsi attorno e capire chi può aver bisogno di aiuto, di conforto, di calore umano. Parafrasando un grandissimo poeta del novecento fanno capire che il dolore degli altri non è un dolore a metà. Chi piange sa quanto può essere importante avere qualcuno con cui condividere le lacrime e le asciuga, chi è dilaniato nel profondo sa quanto può servire avere sale per trasformarle in feritoie “attraverso le quali una luce nuova raggiunge noi e chi ci incontra”, apprezza l’autenticità dei cuori e un animo che sappia aprirsi agli altri.
Carlo Acutis era un ragazzo di soli 15 anni, innamorato dell’Eucaristia e degli ultimi, dei sofferenti, morto a causa di una leucemia fulminante. Così come lui in vita, la madre Antonia e il padre Andrea hanno avuto la forza di non chiudersi ma di aprirsi agli altri e al mondo. Quotidianamente cercano di proseguire la piccola grande tessitura di Carlo. «Io e mio marito facciamo notte per rispondere alle lettere e alle richieste di preghiera che arrivano da ogni parte del mondo» raccontò la madre nel 2016 a Famiglia Cristiana. «Viviamo questo processo con gioia - disse, riferendosi all'allora beatificazione del figlio - conosciamo nostro figlio, la sua vitalità, il carisma, la forza della fede, in questi anni abbiamo potuto vedere il bene che sta facendo a tanti sconosciuti e che per noi è stata, in parte, una conferma della sua vitalità spumeggiante, spesso mi ritrovo gente sotto casa che lo ha conosciuto attraverso gli scritti e cerca un contatto con noi». Appassionato di informatica, Carlo Acutis considerava l’Eucaristia “l’autostrada verso il cielo” e ideò una mostra sui miracoli eucaristici. Dopo la sua morte quella mostra ha attraversato il mondo, mentre messaggi alla famiglia giungono da ogni latitudine. «Offro le sofferenze che dovrò patire al Signore per il Papa e per la Chiesa, per non fare il Purgatorio ed andare diritto in Paradiso» disse alla madre entrato in ospedale. «Bene, c’è gente che sta peggio, non svegli la mamma che è stanca e si preoccuperebbe di più» rispondeva all’infermiera che gli chiedeva come stava nei momenti di sofferenza più atroci. Il giorno del funerale, racconta sempre la madre, la Chiesa era strapiena, tantissime persone che lei e la famiglia non conoscevano ma conoscevano benissimo Carlo, considerandolo “uno di famiglia”. Perché, inforcata la bicicletta, Carlo si fermava a parlare ai portinai che incontrava, donava quel che poteva e portava generi di conforto a senzatetto e poveri (dopo il pranzo portava contenitori con il cibo avanzato ai clochard della zona). «Una volta – racconta sempre la madre – si arrabbiò perché gli avevo comprato un paio di scarpe che lui riteneva superflue» in quanto già ne aveva uno. «Sotto casa nostra c’era un senza fissa dimora, lui gli portava il pasto, una volta regalò un sacco a pelo a un signore anziano che dormiva nei cartoni» che acquistò con i suoi risparmi, sempre donati (spesso ai frati Cappuccini che servivano i pasti ai senzatetto). A casa Acutis il collaboratore domestico è un induista che decise di farsi battezzare per la profonda fede, carità e purezza di Carlo. Il dolore e la sofferenza per la sua dipartita terrena sempre più è feritoia di una luce nuova che raggiunge chi incontra, il dolore un bastone che dona un cammino di conforto e compassione. Un proverbio indiano dice che ciò che non viene donato va perduto. Il donare di Carlo Acutis è stato così profondo e intenso che prosegue anche undici anni dopo. E non sembra proprio voglia fermarsi.
Articolo originale, rivisto in occasione dell’arrivo della reliquia di Carlo Acutis, pubblicato nell’edizioni di Immi (giornalino della Parrocchia SS Salvatore di Casalbordino) di Pasqua 2017