L'Anvur, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ha presentato nei giorni scorsi un ampio studio sugli atenei italiani mettendo a confronto il biennio 2011-12 con quello 2021-22.
Da questa ricerca è emerso che gli iscritti alle Università del Sud sono sempre meno numerosi e che nel corso degli ultimi 10 anni si è registrato un calo importante delle iscrizioni che vede lâAbruzzo in testa (-30,3%) seguito da Basilicata (-24,6%) e Calabria (-20,5%). Da questa stessa indagine risulta che gli iscritti si spostano soprattutto in Piemonte (+23,8%), Emilia-Romagna (+21,3%) e Lombardia (+17,9%).
Il rapporto, che evidenzia una nuova fuga di studenti verso nord, è insomma tuttâaltro che marginale e merita una riflessione approfondita ed urgente da parte di chi ha la responsabilità della direzione degli atenei meridionali e delle istituzioni politiche locali.
LâAbruzzo in particolare, che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso ha investito sulle università ritenendo giustamente che da esse potessero scaturire ritorni in termini di crescita e di sviluppo, deve chiedersi quali siano le ragioni di questo esodo massiccio verso altre istituzioni universitarie e del perché della loro scarsa capacità attrattiva che invece sembra non toccare, ad esempio, il vicino Molise o lâUniversità della Tuscia da poco entrate in funzione.
Sono ragioni legate ad un abbassamento del livello degli studi, almeno nellâimmaginario degli studenti? Sono invece motivazioni di carattere strutturali riferite allâedilizia scolastica ed allâaccoglienza degli studenti, relative cioè alla mancanza o insufficienza di aule, laboratori, case dello studente e mense ?
Uno studio insomma va fatto e presto in questa direzione ed anche, mi permetto dire, sullo stato generale delle università abruzzesi che sono rimaste da tempo abbandonate a se stesse, se non addirittura ignorate dalla Regione Abruzzo che pur dovrebbe, per legge mi par di ricordare, svolgere unâazione di coordinamento tra gli Atenei al fine di evitare la sovrapposizione di facoltà di medesimo indirizzo, di favorire unâofferta più articolata e rispondente alle esigenze della società , dâimpedire la proliferazione di corsi creati spesso con lâunica finalità dellâautoconservazione dei potentati e delle consorterie degli ermellini. E sotto questo profilo chiedersi ancora â e qui la politica dovrebbe mostrare tutta la forza che non ha â se vale ancora la pena mantenere in piedi tre università in Abruzzo, la âGabriele DâAnnunzioâ, quella âdellâAquilaâ e quella âdi Teramoâ oppure muoversi nella direzione della creazione di un unico grande ateneo regionale che superando inutili e sterili contrapposizioni e rivalità di campanile ottimizzi i costi, ampli lâofferta formativa diversificando i corsi anche rispetto alle università circonvicine, elevi il livello complessivo degli studi e si ponga come autentico laboratorio di sviluppo e centro di ricerca per questa nostra regione, per i territori circostanti e per le aree frontaliere dellâAdriatico.