Solstizio d’estate e San Giovanni, due feste antichissime ricche di tradizioni

Quella del 21 e del 24 giugno sono le date della rinascita e della purificazione in un ricco patrimonio di credenze popolari anche abruzzesi

Rosaria Spagnuolo
21/06/2021
Tradizioni
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Con il Solstizio d’Estate, inizia finalmente l’estate. Il termine Solstizio deriva dal lat. Solstitium: sol 'sole' e sistere 'fermarsi' perché sembra che il sole si fermi e torni indietro sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto. Il 21 giugno il sole si ferma nel punto più lontano dall’equatore, lo Zenit, decretando il giorno dell’anno in cui la luce dura di più, insieme al 21 dicembre, solstizio d’inverno e giorno dedicato a Santa Lucia, definita la protettrice degli occhi, appunto per il nesso pagano instaurato fra la luminosità e il senso della vista. Molte le usanze e le tradizioni in Europa ma anche nell’Abruzzo legate a questo evento astronomico.

In Italia, la fede cristiana si è mischiata a quella pagana: si festeggia, infatti, tra i 21 e il 24 giugno il triduo a San Giovanni Battista, una celebrazione legata intimamente alle credenze pagane, pre-cristiane, ed al periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche.

In molte zone d’Italia ancora oggi si svolgono riti e feste di origine pagana, che la Chiesa ha cercato di cancellare, non riuscendoci completamente, perché tali credenze sono radicate nelle usanze popolari. Così, nella festa di San Giovanni, si svolgono delle celebrazioni con questa strana mescolanza di elementi sacri e profani. Si arriverà, nella notte tra il 23 e il 24 giugno all’usanza di bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, ” San Giovanni non vuole inganni”.

La figura di San Giovanni Battista ha assorbito in sé molti degli antichi culti del sole da cui gli usi di bruciare i falò e i riti della rugiada e dell'acqua con cui battezzava: simbolo della purificazione e della rinascita.

Se molti anni fa’ si avesse avuto la possibilità di sorvolare di notte l'Abruzzo in prossimità di paesi e villaggi si sarebbero visti centinaia di fuochi. Piccole e grandi comunità erano solite preparare durante i giorni che precedevano la festa enormi mucchi di legna che venivano poi incendiati la notte tra il 23 e il 24 Giugno. I falò solstiziali accesi nei campi la notte di San Giovanni non solo nella nostra, ma anche in molte regioni europee, erano considerati propiziatori e gli venivano attribuiti virtù purificatrici e rigenerative: i fuochi, simbolo del sole, scacciavano demoni e streghe e prevenivano le malattie. Spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate delle ruote di fascine, che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti. In passato era credenza diffusa in Abruzzo e in Molise che alle prime luci del 24 giugno, i contadini che possedevano alberi di noce dovevano andare a legare una corda di spighe di orzo ed avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi. In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti. In molte località si usava e si usa ancora fare il nocino, un liquore a base di noci non mature.

Per chi ha voglia di crederci l’aurora del 24 giugno, giorno di San Giovanni, ha diversi poteri, non solo di tipo “cosmetico”. Infatti è anche il momento giusto per stringere o rinnovare legami di amicizia fraterna (il cosiddetto comparatico, o comparanza) suggellati lavandosi reciprocamente mani e viso e scambiandosi mazzolini di fiori campestri, detti ramajetti, recitando contemporaneamente la formula dei “compari a fiori”. Pur variando secondo la località, la formula più comune è questa:

“Cumbare e cummarozze/Facemmece a cumbare/Se male ce vuleme/Alu ‘mberne ci ni jeme/Si bene ce purteme/ ‘mbaradise ci artruveme”.

In sostanza, il compare o la commare sono invitati a volersi bene e a non sciogliere mai un legame che un giorno permetterà loro di ritrovarsi in paradiso. Ogni anno sono diversi gli appuntamenti organizzati in Abruzzo per celebrare il 24 giugno, molti prevedono lo scambio dei ramajetti o il falò notturno per scacciare demoni e streghe e per illuminare l’autunno che si avvicina. La notte tra il 23 e 24 giugno, ritenuta magica già in epoca pre-cristiana, è la più lunga dell’anno e coincide col solstizio d’estate, dopo il quale ha inizio la riduzione delle ore di luce. La leggenda narrava che la prima a vedere nel sole infuocato il volto di San Giovanni avrebbe trovato marito entro l’anno, per questo le giovani donne d’altri tempi si svegliavano all’alba del 24 giugno per vedere il sorgere del disco solare. Ma la notte di San Giovanni, o meglio l’aurora, è preziosa anche per la rugiada e le erbe. Tra queste c’è l’iperico, detta non a caso erba di San Giovanni, chiamata così perché i suoi fiori giallo-oro sbocciano a fine giugno, in concomitanza con la festa del santo. Secondo la tradizione le erbe bagnate dalla rugiada nella notte tra il 23 e il 24 giugno si caricano di energia nuova. Per la preparazione di quella che viene chiamata acqua di San Giovanni occorre raccogliere erbe aromatiche e fiori in luoghi non contaminati, porre tutto in un recipiente con dell’acqua e lasciare la mistura fuori, nella notte fatidica, a catturare la rugiada del mattino del 24. Poi la si usa per lavarsi viso e mani. Le erbe devono essere non meno di 24, dalle ginestre, ai petali di rosa, dall’artemisia al finocchio selvatico, dal rosmarino al basilico, tutto può diventare ingrediente “miracoloso” per l’acqua di San Giovanni. Per raccogliere la rugiada basta stendere un panno tra l’erba e strizzarlo il mattino successivo.

Fra le cose che non possono mancare a San Giovanni c’è anche l’aglio, comprato, regalato o raccolto non fa differenza e assicura le tasche piene, come afferma il detto: “Chi non prende aglio a San Giovanni, è povero tutto l’anno”. In Abruzzo si usa “interrogare” l’albume d’uovo o il cardo mariano. Preso un uovo, si versa il banco in un contenitore trasparente, che si lascia esposto alla rugiada della notte, fino a prima del levar del sole. Il disegno realizzato dall’albume potrà predire il futuro.Per avere informazioni sulla vita sentimentale, invece, va preso un cardo e, dopo aver bruciato la corolla, posizionato in un contenitore d’acqua fuori dalla finestra. L’amore diventerà realtà se il giorno dopo i petali si rinverdiranno.

Un altro metodo per avere certezze sulla vita sentimentale delle ragazze erano le fave. Nella notte di San Giovanni, le giovani mettevano sotto il cuscino una fava intera, una sbucciata e una sbuccia solo in parte. Al risveglio, senza guardare, prendevano una delle tre: in base a quella presa, avrebbero sposato un uomo ricco, uno molto povero, oppure uno né ricco né povero.

Canti, danze intorno a grandi fuochi in attesa dell’alba, per cercare fortuna. A Ortona a mare si diceva che “la ggiurnate de San Giuvann’ è ssignalate“, in altre parole che poteva essere incredibilmente fortunata o infausta, pertanto si temevano infortuni. Sempre durante la notte della vigilia, gli spasimanti lanciavano corone di fiori alle finestre delle loro fidanzate; viceversa, se volevano offendere e vendicarsi delle ragazze che li avevano respinti, lanciavano frutta marcia ed erbacce (Campli).

Innumerevoli erano i riti legati alle proprietà magico-curative e benefiche dell’acqua e della rugiada – la uàzza – che cade durante la notte di San Giovanni, ritenuta portentosa ed efficacissima per curare ogni tipo di dolore fisico (come i reumatismi) oppure per irrobustire la capigliatura delle donne e per scongiurare in loro l’emicrania.

Riti antichi, tradizioni contadine antichissime, in un periodo definito magico, in cui la collettività unita sperava nella rinascita, nel nuovo, affondando le sue radici nel lontano passato preromano, a quella “giovinezza dell’umanità” pervasa da una profonda “intuizione del divino“, per usare le parole di Gennaro Finamore. Il medico e antropologo abruzzese paragona la notte di San Giovanni a un vero e proprio “monumento di età anteriore alla storia, che il tempo ha intaccato, ma non distrutto”.

 

Foto di Costanzo D'Angelo

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