Lâanno è il 1819. Unâiscrizione posta allâinterno della Luce n. 1 (posta nelle prossimità dei resti del Ninfeo presso la Torre di Bassano) recitava quanto segue: «Questo acquedotto, monumento della potenza Romana, dalla barbarie deâ tempi posteriori quasi distrutto, fu grandiosamente ripristinato nel 1819, dalla fermezza, dal civismo e dallâabilità del Deputato Direttore Quirino Majo, del Sotto-deputato Gioacchino Vassetta, e del maestro fontanaro».
Alla Luce n. 63 posta alla sorgente dellâacquedotto (contrada Luci) unâaltra epigrafe ulteriormente dichiarava: «Per sé e per i suoi concittadini Istoniesi Salvatore Palmieri questo acquidotto fece costruire nellâanno 1820. Sindaco Quirino Mayo».
Nel 2020, precisamente due secoli più tardi, una nuova targa posta sul sito dellâantica Luce n.63, dovrebbe recitare ad futuram rei memoriam â e ad imitazione della prima oggi scomparsa â equanto segue: «Questo acquedotto, monumento della potenza Romana, dalla barbarie deâ tempi posteriori quasi distrutto â soprattutto nel Novecento â fu esplorato e fatto conoscere nel 2020, dalla fermezza, dal civismo e dallâabilità dello speleoarcheologo Marco Rapino».
Nulla di più e nulla di meno. Un atto semplicemente dovuto per chi ha riaperto la via dellâacqua in quelle tenebre del cunicolo sparito allâorizzonte città . In antico, la millenaria pratica della rabdomanzia consentiva al ricercatore, in una sorta di divinazione, la scoperta dellâacqua della vita. Ma Marco, a differenza del rabdomante, aveva la straordinaria capacità di scoprire proprio nellâacqua, nelle sue profondità , la storia delle città . Non ultima â vissuta dagli storici come una storia fantasma che aleggiava nelle ombre delle dicerie â lâindividuazione al Trave dellâantico porto adriatico di Histonium.
Già ! Nel fondo delle cose Marco aveva la forza di ritrovare il senso della vita.
Ora la sua scomparsa è divenuta memoria. Una memoria molto prossima a ciò che il poeta latino Properzio nella VII elegia del IV libro aveva raccolto in questo verso: «Sunt aliquid manes: letum non omnia finit». Vale a dire: «câè qualcosa nello spirito dei morti: la morte non è la fine del tutto».