In una tiepida mattinata di settembre, percorrendo la strada fiancheggiante il mercato coperto di Santa Chiara, sono stata catturata dal richiamo e dal desiderio di rivivere i luoghi dei ricordi legati alle mie radici. Figlia di un âpesciaréuleâ e nipote di un âciucculareâ, il mercato di Santa Chiara, era il posto di lavoro dei miei cari. La struttura a due piani era il âcuore del commercioâ e uno dei luoghi simbolo della âquotidianità vasteseâ ai tempi della mia infanzia. Il tempo passava, nei richiami invitanti dei pescivendoli e degli ortolani, e la magia di questi luoghi era arricchita da uno scenario di colori e odori della nostra terra e del nostro mare. Il piano di sopra era gremito di ortolani che, seduti su verdi grate di ferro, tra i colori di una natura semplice e genuina, mostravano la merce, frutto del lavoro delle loro mani, in cassette di legno. Ed ancora câerano gli âscamorzariâ con i loro grembiuli bianchi insieme agli invitanti âsalumieriâ con un odore pregnante dei formaggi freschi e di salumi stagionati. Allâingresso, al lato dei gradini, câera il contadino venditore di uova, polli e galline vive e ruspanti, tutte pigiate in gabbie, in compagnia dello âscapeciaroâ con i bidoni pieni di pesce fritto, trattato con aceto e zafferano. Ripercorro il mercato ortofrutticolo e sembra tutto ancora come prima. Ci sono ancora le vecchie verdi grate di ferro e câè ancora tanta vita e commercio. Scendo al piano di sotto dallâingresso posteriore e sono avvolta da una sensazione di grande inquietudine e tristezza. Sulla destra il simbolo del mare âlâancoraâ e poi tanti banconi di marmo, ma âvuotiâ. Un unico bancone in fondo a sinistra custodisce lâanima di un mondo non più presente. Eâ quello di Roberto Molino, il figlio di Nicola Molino, detto âlu Maggioreâ. La malinconia mi avvolge e, mentre mi avvicino a Roberto, i ricordi mi abbracciano. I banconi di marmo erano pieni di merce raccolta ed esposta in cassette di plastica dal colore giallognolo, acquistata nel primo mattino allâasta del porto. Il vecchio custode claudicante dalle parole indecifrabili e dal passo ciondolante, causa delle mie infantili fobie, era seduto allâingresso dei bagni, poi papà âla Cicatilleâ, âlu Ciuffuloneâ, âlu Papponeâ, âlu Tragnitelleâ,âlu Pilatilleâ, âlu Ciopâ, âla Mannarilleâ, âlu Giarmatoreâ ed il mitico trio âSan Gennaroâ, i fratelli Natarelli Angelo, Emidio e Antonio, e quanti altri ancora erano loro i padroni di un mondo stregato, animato da battute e slogan invitanti allâacquisto. Lâodore del mare e del pesce era pregnante nellâacqua, che colava dai banconi in ruscelli che si raccoglieva al centro per finire nei tombini centrali. I suoni, gli odori e le immagini erano lo scenario di un umano mondo fatto di lavoro e sacrificio. Mi avvicino al bancone di Roberto e lui, orgogliosissimo, mi mostra la merce esposta e mi dice: âQui, come ieri, il pesce sul mio bancone arriva fresco ogni mattina, dal martedì al sabatoâ, e precisa: âEâ solo pesce locale!â. âMolto spesso ci dimentichiamo che si fa più fatica a restare che ad andare viaâ, mi sottolinea di tanto in tanto una mia carissima amica giornalista, Paola Cerella, asserendo: âBisognerebbe premiare chi resta con encomiabile orgoglio a tramandare e difendere le proprie radiciâ. Hai ragione Paola! Penso che non sia patetica nostalgia, ma il bisogno di tramandare la nostra storia alle nuove generazioni, affinché da essa possano e debbano trarre forza. E a te, Roberto, è doveroso dire grazie da parte di tutti i vastesi! Sei lâunico che, con una valigia di cartone, su un bancone di marmo, conservi, nel vecchio mercato ittico di Santa Chiara, lâantico mestiere dei nostri padri: quello de âlu pesciaréuleâ.