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Centenario della nascita di Vincenzo Canci: l'anima pittorica di Vasto

Ha esaltato scorci e angoli tra i più suggestivi della città

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Cento anni fa, il 2 settembre del 1911, nasceva a Vasto Vincenzo Canci, poeta del colore e grande interprete del realismo figurativo, che ha trovato la sua massima espressione nella rappresentazione degli scorci e degli angoli più belli della nostra città. “Canci è stato uno straordinario cantore della sua terra”, scriveva Gabriella Izzi Benedetti qualche anno fa. Forse come nessun altro pittore in passato, Canci ci ha regalato una serie di opere suggestive e poetiche diventate ormai delle icone della pittura vastese, grazie anche alla ampia diffusione di immagini presentate nelle varie edizioni di Vastophil. Avviato dal padre Luigi alla pittura, Vincenzo Canci frequenta a L’Aquila la scuola di pittura decorativa fino al diploma. Trasferitosi a Roma, diviene allievo di Umberto Calzolari, con il quale instaura un’intensa collaborazione artistica di fondamentale importanza per la sua formazione. In questo periodo, il Canci esegue insieme al maestro diverse opere ad affresco e graffito (ricordiamo la decorazione per il Palazzo del Governatorato ad Ostia), ma non perde occasione per maturare le sue qualità di pittore frequentando parallelamente l’accademia libera del nudo di via Margutta. Partito a 26 anni sotto le armi, il pittore vastese subisce sulla propria pelle l’orrore della guerra: fatto prigioniero in Germania, per due anni viene relegato ai lavori forzati in miniera. Grazie alla tempra forte dell’abruzzese, trova tempo e colori per imprimere su tela il proprio stato d’animo, ma anche la forza di lottare per sopravvivere all’inferno della prigionia. Come egli stesso raccontò in un’intervista rilasciata a Pino Jubatti, ricordando quei momenti infelici “Ero rimasto come sradicato e, piano piano, la pittura mi ha riportato alle radici della famiglia, della terra, del sentimento per l’Arte che sembra soltanto una banale espressione verbale ma che opera miracoli indescrivibili”. Dopo la guerra ritorna a Roma, tranne alcuni brevi periodi trascorsi nella città natale, e torna a dipingere affinando sempre più la tecnica. In questo periodo inizia a lavorare come scenografo presso alcune case cinematografiche, dedicandosi al tempo stesso ad alcune opere decorative per la sua terra d’origine: tra queste le scenografie del Festival della Canzone Abruzzese e Molisana (1954-1959) e il grande pannello realizzato per la Casa di Conversazione. Ma già alcune esperienze come scenografo le aveva maturate nella propria terra d’origine, come ad esempio per i pannelli eseguiti nel 1937 per la rappresentazione presso il Teatro Politeama Ruzzi dell’opera teatrale “L’eroico Cappellano”, rievocazione drammatica del sacrificio di Padre Reginaldo Giuliani, per cui l’ingegnere Antonio Izzi, presidente dell’Associazione Combattenti di Vasto, ringraziò il giovane Canci, allora ventiseienne, con queste parole “…Oltre i doverosi ringraziamenti tengo ad esprimerle, il nostro vivo compiacimento per aver potuto apprezzare la Sua valentia di scenografo non disgiunta a vivi sentimenti patriottici. Nel farle anche i miei personali rallegramenti Le porgo, insieme a molti auguri per una Sua rapida affermazione artistica, i miei più cordiali saluti”. In questo periodo i soggetti preferiti da Canci sono i paesaggi marini e campestri e gli scorci panoramici del golfo di Vasto. Tra il 1956 e il 1960 si trasferisce in uno studio ricavato sulle rovine di Palazzo Ponza, crollato in seguito alla frana del 1956. Pur continuando a prediligere gli scorci incantevoli dell’amata città natale, Vincenzo Canci affianca tematiche sociali ritraendo ad esempio manovali o pescatori nel momento del lavoro, ottenendo dei risultati straordinari. Tra il 1960 ed il 1976 si dedica all’insegnamento, dapprima a Milano e poi a Vasto, presso l’Istituto d’Arte. In questa fase sperimenta nuove tecniche, come quella “a spatola”, e affina quelle già acquisite, come l’acquerello, che egli usa con perizia e destrezza, raggiungendo risultati espressivi di alto valore. “E l’acquerello si arrende di fronte a questo artista che si era cimentato in altre vittoriose battaglie con l’affresco e il graffito”, scriveva Carlo Piantoni in occasione degli 85 anni dell’artista, “La città e il paesaggio sono ora i catalizzatori che Canci ritrova dopo tanti anni di assenza. Sono le immagini ricche di componenti effettive che egli aveva vissuto, trasfigurandole, negli spazi misteriosi della memoria. La realtà e il sogno si scontrano e si incontrano. Il mondo sensibile si depura, sottoposto com’è a un processo di selezione che esalta solo quello che è artisticamente valido. Un realismo poetico, dunque, come se Canci volesse collocare in una dimensione senza tempo gli scorci di Vasto, i casolari, le marine, i paesaggi agresti”. Tante le mostre allestite da Vincenzo Canci durante la sua lunga attività, ma per brevità ci limitiamo a ricordare le ultime tre, quella del 1988 a Palazzo d’Avalos, nel 1995 nella sala delle esposizioni a Piazza Rossetti e l’ultima nel 2001, nel salone d’onore di Palazzo d’Avalos in occasione del novantesimo compleanno dell’artista. Vincenzo Canci muore a Vasto il 14 maggio 2003. In quel periodo si parlava di una donazione di opere verso il Comune di Vasto. Sembrava la cosa ormai fatta, come affermava Tito Spinelli in un articolo scritto poco dopo la morte del pittore: “…viene data per certa la sistemazione di un lascito in sedi istituzionali, dove i visitatori avranno la possibilità di ammirare talune delle sue opere più significative”. Della donazione non se n’è fatto più nulla, ma il nostro auspicio è che proprio in quest’occasione dei cent’anni dalla nascita del Maestro, si possa finalmente formalizzare (con tutte le dovute precauzioni e attenzioni, perché continuiamo a ribadire che le opere non sono fatte per decorare gli uffici comunali o rimanere nel caveau di Palazzo d’Avalos) quella donazione, che legherebbe ancor di più il nome di Vincenzo Canci alla sua città, per la sua città e tutti i suoi concittadini.
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