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I racconti di Miranda: "Dalla 'Poteca di Mastr Peppeine' all’osteria 'da Peppe'"

Un viaggio nella memoria tra i falegnami di una volta

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“C’era una volta... 'Un re!'... diranno subito i miei piccoli lettori... No ragazzi, c’era una volta un semplice pezzo di legno da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe per accendere il fuoco e riscaldare la stanza. Un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, Mastr’Antonio, chiamato da tutti maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Chi non ricorda le iniziali parole della nota favola di Collodi 'Pinocchio'? E chi nella propria infanzia non ha viaggiato in essa nella magia che vide in una vecchia e fredda bottega il tramutarsi di un pezzo di legno in un ribelle e temerario bambino, “figliolo” di un onesto, saggio ed umile anziano padre? La figura del falegname ha sempre avuto per me bambina un fascino unico e particolare, direi quasi magico, vissuto nella realtà con la vicinanza di una persona a me molto cara e familiare: lo zio Peppino. Giuseppe Sconosciuto, chiamato da tutti i vastesi “Mastr’Peppeine”, aveva la sua “poteca” di falegname in pieno centro storico, in via Laccetti a Vasto. Negli anni successivi la guerra il mercato dei lavori manuali nelle “botteghe” si sviluppò rapidamente e proliferò in tutto il suo vigore dando l’illusione che non avrebbe, in futuro, conosciuto crisi. Numerose erano le botteghe presenti nei quartieri: “lu scarpare”, “lu varvire”, “lu fabbre” “lu ramaiele”, “lu sartare”, “la maiara” e rappresentavano per noi bambini una parte considerevole del quotidiano e semplice scorrere del tempo. La bottega di zio Peppino era la mia preferita, perché racchiudeva con le pericolose macchine e la paziente laboriosità manuale il fascino di un lavoro in un luogo inaccessibile, misterioso, tutto da scoprire. La “poteca di Mastr’Peppeine” era molto ampia e poco illuminata, sempre impolverata per via degli scarti prodotti dalle macchine con un pregnante odore di legno che proveniva dai mucchietti di segatura e riccioli, sparsi qua e là, ai piedi dei macchinari. Lo zio deponeva in fondo alla bottega, accuratamente appoggiati ai lati delle pareti, gli aridi pezzi di legno differenziandoli nella tipologia per poi laboriosamente trasformarli in eleganti porte e finestre dalle sontuose maniglie dorate, ornati di preziosi intarsi. Affettuosamente andavo dallo zio con la mia bottiglietta vuota del succo di frutta con il tappo in plastica per farmi regalare la preziosa colla Vinavil; l’avrei potuta comprare dal signor Serafino della cartolibreria al giardinetto li vicino, in piazza Caprioli, ma la colla dello zio racchiudeva la poesia del “creare” e “saper fare”. Spesso mi fermavo e seduta su di una seggiolina guardavo in silenzio, con curiosità, stupore e grande ammirazione, la fatica e la pazienza dello zietto mista alla passione per il proprio lavoro. Ero attratta dalle sue laboriose mosse e dalla sua area maestosa di detentore di scoperte, trucchi e segreti del mestiere. Talvolta mi spiegava nel corso di lavorazione, a dovuta distanza, la funzionalità dei pericolosi ed inavvicinabili macchinari, e mi raccontava di quando da ragazzo andò “a bottega dal mastro”. Io lo scrutavo minuziosamente nel gesto del misurare con precisione, per poi riporre la matita nel taschino del camice, quando con la circolare e la sega elettrica tagliava gli aridi pezzi di legno per poi piallarli, levigarli, assemblarli, verniciarli fino alla momento finale che lo vedeva soddisfatto ed ripagato da tanta fatica. Immagini di un mondo che scompare nell’odierna società per mutate richieste commerciali e per l’assenza di ricambi generazionali. Ci sono antichi mestieri che si tramandano altri che, semplicemente, si riassaporano con nostalgica malinconia, perché legati a luoghi che restano intatti nel tempo e nella memoria di chi li ha vissuti. Oggi la vecchia “Poteca di mastr’Peppeine”, luogo pieno di magia, si è trasformata in nuova ed invitante “Osteria da Peppe”, gestita famigliarmente dalla figlia del signor Giuseppe Sconosciuto, Maria Sconosciuto, e dal genero, Giuseppe Del Prete, dove si possono gustare genuini piatti dai semplici sapori della nostra terra e della migliore tradizione gastronomica abruzzese. Con grande amarezza giungo alla constatazione che l’affascinante e vecchia figura dell’artigiano in generale ha perso la ricchezza che, tuttora, la caratterizza ed è, ormai, un mondo che sta per finire. Dovremmo fermarci un po’ tutti e riflettere, riavvolgendo il nastro dei ricordi, in una memoria ed in una identità troppa persa. Occorre rivalorizzare il nostro territorio partendo dalla ricchezza delle nostre radici storiche. E perché no? Rilanciando anche le botteghe in strade con giovani e vecchi mastri laboriosi sui cigli di nuove botteghe. Una politica sociale consapevole e partecipativa, “protagonista del futuro”, basata sulla valorizzazione delle risorse della storia delle nostre strade, che funga da trait d’union, tra uno storico passato ed un futuro da educare e costruire. Bello sarebbe, anche, rilanciare nel nostro centro storico angoli di vetrine espositivi dei prodotti locali e dei percorsi nel tempo della storia di tante aziende che hanno tramandato l’amore per i frutti della nostra terra ai propri figli. Occorre rilanciare una politica “per” il sociale e “con” il sociale dove il “passato” e il “futuro” si incontrino in un “presente” ricco di una originale identità storica aperta alla conoscenza e all’integrazione di sempre nuove e diverse identità culturali. La “bellezza” in un futuro dove la “cultura delle radici”, “l’innovazione del presente” e “la qualità del territorio” ne faccia da padrona. Con affetto a zio Peppino e alla mia Vasto La Maestra Miranda Sconosciuto “La Cicatillè”
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