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L'OMBRA DI D'ANNUNZIO IN UN'INSTALLAZIONE DI FABIO DE POLI

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In una conversazione tenuta a S. Vito Chietino lo scorso settembre, ho avuto occasione di accennare all’inderogabile esigenza di un’organizzazione architettonico paesaggistica dell’attuale Costa dei Trabocchi (i cui riferimenti antichi rimangono sempre i cinquecenteschi Zardini di Vignola e il Parco monumentale della Canale [entrambi i siti storicamente attestati lungo il litorale di Vasto]). Intriga la possibilità di riconsiderare – in un’ipotesi costruttiva– questo tratto litoraneo a partire dalle soluzionirnarchitettonico-scultorie proposte a metà sec. XVI dal Sacro bosco di Bomarzo. Qui, nel nostro caso specifico, il modello tematico di Trionfo della morte (quello che dagli affreschi pisani di Buonamico Buffalmacco conduce, per influenza diretta, all’omonimo romanzo di Gabriele D’Annunzio), diventa il vero percorso da seguire per la costruzione di una trama progettuale ad hoc. Del resto, la disseminazione di segni lapidei lungo itinerari noti – vale a dire, figure che scandiscono un cammino – si trova ad essere attestata proprio lungornle marine dell’Abruzzo meridionale. Da questo punto di vista, la spiaggia di Casalbordino riesce ancora a testimoniare gli antichi termini dell’iter tracturium che trattengono seco l’incisione della conchiglia del viandante e del monogramma R(egio) T(ratturo). In una prospettiva di tal genere, particolare interesse assume la silhouette d’acciaio nero che l’artista Fabio De Poli ha progettato per il promontorio dannunziano di S. Vito. Un’installazione rimovibile – come quelle prodotte dal suo amico Mario Ceroli, il grande scultore di Castelfrentano – pensata per interpretare imaginificamente il genius loci di cui sono portatori quelle spiaghijjìre(in dialetto arcaico, le piccole insenature). Proprio per tale ragione, L’ombra di D’Annunzio – che è il titolo dell’opera – viene a restituire sub specie nigredinis larnforma melanconica e notturna del Gabriele «segreto». Non v’è dubbio. Quella figura ideata da De Poli altro non rappresenta che l’utopia del corpo negato e trasfigurato. Nei fatti, la maschera del corpo utopico che vuole persistere nel tempo (utilizzo le parole di uno straordinario testo inedito di Michel Foucault recentemente scoperto). Con buona pace di tutti, traspare con evidenza ciò che di sé, alla fine dei suoi giorni, ha avuto occasione di dire il Gabriel artifex: «Venite a guardare il mio viso due o tre ore dopo la morte. Allora soltanto avrò il viso che mi era destinato, immune dagli affanni, dalle fatiche, dai patimenti, dagli innumerevoli eventi che forzò e forzerà pur in estremo il mio disperato coraggio». Certo, il profilo metallico di De Poli sa comprendere visualmente il senso della imago tracciata dallo scrittore. L’ut pictura poesis è lì, pronta ad accompagnare il senso più riposto di Trionfo della morte. Vale a dire, l’eterno canto levato dall’homo melancholicus. Lo stesso, cioè, che, dall’affresco pisano al romanzo sanvitese, intona l’unica, persistente e irriducibile melodia che incessantemente ritorna: la vicenda dell’esteta non ha tempo per bearsi delle delizie proprie della sua vita elegante; la tragedia della morte che trionfa sul mondo sta ormai incombendo su di lui. L’ ultimo elemento è la folgorazione rossa dell’aereo che attraversa e devasta il volto. Non è solo il mito della velocità di cui Gabriele, ancor prima della frustata futurista, è stato il protocantore (e perche no, vale la pena rileggere la pagina che Marinetti scrive su Pescara e sulla casa avita dell’autore del Piacere). Marnè soprattutto l’ordigno che lo avrebbe reso per semprernmonoculare, orbo. L’uomo del notturno e dell’ombra. Nell’Ombra di D’Annunzio, De Poli fissa l’istante che coglie l’utopia corporea dell’artifex. Per una congerie di circostanze, la stessa altezza dell’installazione si trova ad avere la dimensione del fresco cimiteriale di Pisa: cinque metri. Gli alzati, dunque – ma solo quelli–, sanno segnare il limite estremo di quel mondo. Con quest’opera può cominciare il popolamento estetico della Costa dei Trabocchi. L’avvio di un diverso modo di pensare la natura. Una natura naturans, artificiatarnche sappia riprogettare il selvaggio della vegetazione mediterranea. Lì, in quel luogo di verzure ernmyricae, le inquiete forme di Trionfo della Morte possono ritrovare il senso degli automata che “rivivono larnvita”. Le presenze d’arte ne accompagnano il respiro. Fabio De Poli, L’ombra di D’Annunzio (prototipo in acciaio nero)
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