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Del Pioppo Nero, alla Marina

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E’ decisamente ormai un vecchio, anche lui, il mio, il nostro amico albero. E’ il monumentale “Pioppo Nero” di Piazzale Rodi, alla Marina. Mi è sempre, da sempre caro. Un punto fermo, fra i pochi rimasti integri, per ri-trovarmi ancora nel luogo, nei pressi dell’abitazione del mio natale, in Via [della]Dalmazia, nelle vicinanze della chiesa francescana di Stella Maris, dove …“servivo messa” già  all’età di soli anni cinque.

Tante nel tempo sono state le potature, qualcuna, anni orsono, messa in atto da parte di irrispettosi vandali, inopinatamente liberi di farlo. Ma poi, ancora nuove e vitali ‘ricrescite’, rinascenti germogli e rami, migliaia di piccole e assai mobili foglie a cuore di un verde tenero, poi più scuro, una sempre ariosa, folta e maestosa chioma arborea.

Lui mi conosce, anche se a chiederglielo non può ovviamente dirlo, da ben settantasei anni, quando il posto aveva nome ancora “Istonio Marina”.
Indelebile nella mia memoria resta il primo, consapevole approccio diretto. Risale al 1949, quando, alunno di prima elementare, uscendo “per la ricreazione” dalla vicina scuola delle “Pie Madri della Pigrizia”, mi capitò con gli altri bambini di giocare allegramente fra rami e foglie di una sua potatura. Guardandolo, da lì sotto, da quel riquadro naturale di terra ed erba in declivio verso la spiaggia, mi parve enorme sin d’allora.
Oggi lo riguardo, ammirato e interrogante ancora, seduto al bordo del muretto della odierna aiuola con verde prato. Sul largo, poderoso tronco, mostra corteccia ben rilevata, nerastra e in parte per sbiancamento grigia, con solchi verticali lunghi e profondi. Via, via negli anni, a posarci sopra la mano, per una tattile, spontanea ri-conoscenza, mi è servito a prendere confidenza e conseguente accettazione con le mie parallele rughe.

Non posso sapere per quanto tempo ancora il mio o nostro civico populus nigravegetale punto fermo nella configurazione urbanistica della Città del Vasto, resterà a guardare la gente, casalinga e forestiera, che lì sosta e transita, né per quale evento o mano, ineludibilmente, verrà fatto a pezzi e poi messo al fuoco. La botanica ci dice che esemplari di tal genere e specie hanno vita attorno ai cento anni o poco più. A conti fatti, pur non sapendo di quando fu lì messo a dimora, o per seme portato dal vento nato, il centenario deve averlo già celebrato.
Nel suo fine giorno, di certo io più non ci sarò. Ma, infantilmente ancora o … da ‘rincretinito’ (come qualcuno penserà), per spontaneo e vitale amore per tutte le creature che ha fatto Dio, mi chiedo se troverò anche lui, grande e grosso, seppur in spirito, nell’aldilà.

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