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VASTO E IL CALCIO (AD ALTI LIVELLI) CHE NON C'è PIù: L'APPASSIONATA DISANIMA DI UNO SPORTIVO DELUSO

Nel 'mirino' la locale classe dirigente, politica ed imprenditoriale

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All’indomani del fallimento della Pro Vasto (i “puristi” direbbero che non è fallita, semplicemente non si è più iscritta al campionato di 2a divisione, ma la sostanza cambia veramente poco), mi sono più volte interrogato sul perché di tale ennesima pagina buia nella storia calcistica della nostra città. Prima di esporre la mia opinione su tale questione, è d’obbligo una premessa: sia ben chiaro che i problemi veri sono altri, non di certo legati al calcio. Ci sono problemi ben più seri che riguardano la nostra vita di tutti giorni. Ed anche i problemi di questa città non sono, ovviamente, solo quelli calcistici. Dopo tale doverosa premessa, occorre però accusare apertamente una intera classe dirigente per il fallimento della Pro Vasto. Non mi soffermo sul presidente Mimmo Crisci, sul quale del resto è stato già detto di tutto. Certo, è lui che materialmente non ha effettuato l’iscrizione, o meglio l’ha effettuata senza le necessarie garanzie, ma il non saper “far calcio” è da ascrivere anche alla classe politica e imprenditoriale: la classe politica è stata sempre incapace di sensibilizzare le persone che possono; per quanto concerne gli imprenditori, è da rilevare, nell’ambito calcistico, la totale assenza di qualunque elementare forma di managerialità. Per dimostrare la fondatezza di questa mia opinione, ripercorro gli ultimi quindici anni di sport nel nostro Abruzzo, tre lustri in cui noi abbiamo conosciuto due fallimenti nell’ambito calcistico, intervallati da 3 anni di Promozione, 2 di Eccellenza, 6 di serie D e 4 anni di campionato di serie C2. Lanciano: dal 1995 ad oggi, la città di Lanciano ha conosciuto, come noi (ma che differenza!) due fallimenti: dopo il primo fallimento (che in realtà – vado a memoria, ma potrei sbagliarmi di uno o due anni – risale a 17 anni fa) ha vinto il campionato di Promozione, poi l’Eccellenza, poi subito la serie D, poi la C2. Il presidente era l’amato Ezio Angelucci. Da 10 anni Lanciano (città a discapito della quale noi ci vantiamo di avere il mare, di avere il turismo, e adesso, da pochi mesi, anche di avere più abitanti) milita ininterrottamente in C1 (o Prima Divisione). È passata indenne per un secondo fallimento dopo che la famiglia Angelucci (successivamente alla morte di Ezio) ha ceduto la società ad un certo Di Stanislao. Con artifizi burocratici, grazie soprattutto al fondamentale aiuto del primo cittadino, Lanciano, durante il corso di un campionato, ha cambiato nome alla squadra (da S.S. Lanciano a Virtus Lanciano), ma ha continuato a militare in una categoria che Vasto neanche conosce. Con l’aiuto del sindaco, la città ha continuato ad avere calcio ed ha trovato la famiglia Maio che ai propri tifosi fa vivere stagioni più che dignitose in un campionato molto impegnativo e dispendioso economicamente. In sintesi, Lanciano nel corso di quasi vent’anni trova due (dico due!) “Paperoni”. Prima domanda che mi pongo: a Vasto non ci sono “Paperoni”? Chieti: nel nostro capoluogo di provincia, c’è una squadra di calcio a 5 che milita in A2, una squadra di basket (milita nel campionato nazionale di serie B – lo sponsor è la BLS, la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona –), una squadra di pallavolo (partecipa al campionato nazionale di B1). La seconda squadra di calcio del capoluogo teatino partecipa al torneo di Eccellenza (anche Lanciano ha una squadra in Eccellenza). Passando alla prima squadra di calcio, occorre dire che cinque anni fa il Chieti calcio ha conosciuto il fallimento, dopo aver militato per anni in serie C (diversi anni anche in C1). Per capire la distanza siderale dal capoluogo da un punto di vista calcistico e sportivo, basta dire che, oltre ad essere già rappresentata a livello nazionale da ben tre sport (pallavolo, basket, calcio a 5), in soli 5 anni, è riuscita a tornare a disputare i campionati professionisti anche nel calcio: dopo il fallimento, infatti, si registra un campionato di Promozione vinto, uno di Eccellenza ugualmente vinto, un campionato di serie D andato a vuoto (conclusosi al quarto posto: il primo posto è stato nostro), un campionato di D vinto. In cinque anni dall’inferno al paradiso: a Vasto, dopo il fallimento del 1995, ci sono voluti nove lunghissimi anni per ritornare in serie C, per di più grazie ad un ripescaggio (non vincendo il torneo, quindi). Mi domando: e adesso quanti anni ci metteremo per “riveder le stelle”? Salto città con cui è assolutamente improponibile il paragone (Pescara) e parlo di Giulianova: la squadra di calcio non è mai fallita! (Già questo basterebbe per dire che il paragone è anche in questo caso improponibile.) Nel 1993 ha disputato il suo ultimo campionato di interregionale (l’odierna serie D); da allora conosce solo una parola: professionismo, 17 anni consecutivi di serie C. E si “diverte” a fare la “fisarmonica” tra campionati di C2 e campionati di C1. Per fare l’ennesimo paragone che non regge, il nostro “record” è di 9 stagioni consecutive nell’allora serie C, dal 1969 al 1977. Ancora: il Giulianova ha vinto 10 titoli nazionali a livello giovanile (anche questo basterebbe per dire che il paragone è assolutamente improponibile e, infatti, evito di snocciolare altri dati che ci farebbero impallidire). Certo è che quando si parla di Giulianova, sebbene sia una città di poco più di 20.000 abitanti, c’è da considerare un contesto economico (direi piuttosto socio-economico e culturale) molto diverso dal nostro. Si è parlato per anni del modello proveniente dal nord-est abruzzese, ma se è vero che lì ci sono tante aziende, altrettanto vero è che tante sono le squadre da sponsorizzare: a pochi chilometri da Giulianova c’è anche il Teramo e, da dieci anni a questa parte, c’è anche il Teramo Basket, senza dimenticare paesi più piccoli che militano dignitosamente in Eccellenza (nella stagione 2010-2011, ben 9 squadre su 18 sono della provincia teramana), o altri che si fanno valere in serie D (Santegidiese). La conclusione è che c’è un altro tipo di mentalità, una mentalità che oserei definire professionista, che parte dalle imprese stesse, dalla loro voglia di conquistare fette di mercato, da aziende, quindi, che hanno la necessità di farsi vedere, hanno bisogno di visibilità e investono in pubblicità. La domanda è: dalle nostre parti c’è la cultura della pubblicità da parte di alberghi, di aziende medio-piccole, di supermercati? Teramo: se il Giulianova non è mai fallito, il Diavolo, invece, sì. Tre anni fa, dopo che per anni la città di Teramo ha visto calcio ad alti livelli e fior di allenatori (Del Neri, su tutti) e fior di giocatori (Pepe, tanto per dirne un altro), il presidente Malavolta non se l’è sentita più di andare avanti (sullo sfondo ci sono anche seri problemi di salute del giovane presidente). La città di Teramo, dopo aver avuto un “Paperone” (anche qui, come a Lanciano!), si è ritrovata nel baratro, ma… a differenza nostra, non impiega anni per risalire. Ha vinto il campionato di Promozione, ha vinto l’Eccellenza, ed ora milita in serie D con una squadra senz’altro competitiva che lotterà per vincere il campionato, ma soprattutto con una dirigenza che ha creato una struttura professionista sin da quando, tre anni fa, si è insediata. E a Teramo non si vive di solo calcio; infatti, c’è anche la pallamano: sia la squadra maschile che quella femminile militano nel massimo campionato nazionale. E poi c’è il basket… Fino a dieci anni fa, a Teramo non sapevano neanche che esistesse un gioco chiamato così. Poi, il presidente avv. Carlo Antonetti ha iniziato ad elaborare un sogno, non standosene seduto dietro la sua scrivania, ma investendo denaro proprio e, soprattutto, lavorando per cercare altri liquidi che permettessero di raggiungere la serie A. Era lui ad andare in giro per le banche e per le aziende; era lui che coinvolgeva persone attorno alla nuova realtà della città; era lui che bussava alle porte dell’Università per chiedere collaborazione; ed era sempre lui che chiedeva, con umiltà, a tanti altri professionisti di metterci la faccia per creare una società forte; era lui che portava i “suoi” atleti per le scuole, per tutte le scuole di Teramo e provincia per far conoscere quello sport “nuovo”; era lui che organizzava attività di beneficienza, nelle quali, oltre a fare solidarietà, investiva il suo tempo e il suo denaro e, soprattutto, dava visibilità al suo progetto. Era il 1999 quando Antonetti divenne presidente e il Teramo basket militava in B d’Eccellenza (la terza serie del basket). Era il 2003 quando le porte della serie A1 si spalancarono al sodalizio biancorosso. C’erano un centinaio di abbonati nel 1999, ce ne erano 1200 il primo anno di A1. E siccome il progetto non si è mai fermato, né gli investimenti, oggi a Teramo tutti sanno cos’è la palla a spicchi, tutti conoscono le regole del gioco e gli abbonati l’anno scorso erano 2600, gli spettatori in media 3.400. Investimenti seri e programmazione permettono il raggiungimento di risultati importanti. Investimenti seri e programmazione… ma quando qui da noi? L’Aquila: è una città a cui siamo vicini per disavventure calcistiche. Ad ogni modo, negli ultimi anni, dopo svariate stagioni in C1 (categoria che noi non conosciamo!), è fallita. Per risalire ha impiegato sei anni (noi ce ne avevamo messi nove!), ma adesso ce l’ha fatta. Giusto premio per una squadra e per una società che, dopo problemi seri come quello del terremoto, è comunque riuscita ad organizzarsi ed arrivare quarta nel campionato di serie D 2009-10. Quando si parla dell’Aquila, però, si parla anche di rugby. Le disavventure calcistiche del capoluogo, per certi aspetti, sono un po’ simili alle nostre, ma, in realtà, occorre considerare che c’è anche il rugby (che ha militato quasi sempre nella massima serie) che giustamente toglie risorse economiche al calcio. Domanda: da noi c’è la possibilità di vedere un altro sport? C’è un’altra squadra di pallavolo, di basket, di rugby, di bocce, di tennis, di hockey su ghiaccio, di pallamano, di calcetto che milita in un campionato nazionale? Celano: non mi soffermo a dire quanto noi tifosi vastesi denigriamo le zone marsicane, ritenendoci “superiori”. Ebbene, riguardo il calcio, la città di Celano (11.100 abitanti circa: unico dato per cui possiamo definirci “superiori”) non conosce la parola fallimento a proposito della propria squadra. Nel 1978, l’allora Cliternum Celano fu radiato e le attività calcistiche ripresero con l’Olimpia Celano che, già da tre anni, militava in terza categoria. La risalita è stata imperiosa e, dall’1985 al 1991, l’Olimpia ha militato ininterrottamente in C2. Poi ci sono state varie retrocessioni, anche in Eccellenza, fino al 2006, anno in cui venne riconquistata la C. Da allora, questo è il quinto anno consecutivo che la squadra celanese milita degnamente nel campionato professionistico, senza spese folli, ma con una programmazione oculata che mira alla valorizzazione dei giovani e alla conservazione della categoria. L’artefice di questo piccolo miracolo si chiama Ermanno Piccone, figlio di Filippo Piccone, senatore della Repubblica e sindaco di Celano, il quale, tra le altre cose, è riuscito a mantenere, nel suo territorio, fino alla riforma Gelmini, un’università con soli 17 iscritti (la “nostra” università, che, dopo tre anni, di iscritti ne contava circa 400, che fine ha fatto?). Mi appare superfluo riflettere sugli “intrecci” tra calcio e politica che ci sono nel caso del Celano. Se tutto viene fatto in modo pulito, se non ci sono intrecci del tipo do ut des, un sindaco-tifoso è qualcosa semplicemente di invidiabile. Ulteriore nota di cronaca: la stagione 2010-2011 è la quarta consecutiva che vede l’allenatore Modica sedersi sulla panchina del Celano. È mai accaduta, a memoria di tifoso vastese, negli ultimi anni, qualcosa del genere nella nostra città? Avezzano: nel caso del capoluogo marsicano troviamo una situazione davvero molto simile alla nostra. Nell’arco di 15 anni, infatti, l’Avezzano calcio prima, la Valle del Giovenco poi sono fallite. Tra l’altro la Valle non è mai stata riconosciuta dai tifosi avezzanesi come la propria squadra. Ad ogni modo, anche nei confronti della storia calcistica di Avezzano, c’è un abisso che ci separa. I due fallimenti sono arrivati quando la squadra militava in C1 nel primo caso, in Prima Divisione, nel secondo caso, cioè in una categoria superiore a quella in cui la Vastese prima, la Pro Vasto poi risultavano iscritte prima del fallimento. Magra consolazione, si potrebbe dire. Ma, intanto, la C1 e la Prima Divisione loro l’hanno vista negli ultimi anni! E noi? Oggettivamente, indiscutibilmente e in maniera incontrovertibile, dunque, le realtà a noi vicine risultano calcisticamente parlando messe meglio della nostra. Durante quest’ennesima estate di sofferenza (sportiva) e di dispiaceri (calcistici), più volte, insieme ad alcuni tifosi, mi sono interrogato sul perché altrove non è mai successo ciò che è capitato a Vasto. E non trovo altre risposte che non additino le responsabilità di tali disastri sportivi alla mediocrità della classe dirigente, a livello politico e imprenditoriale. Indubbiamente, il politico di turno non ha la bacchetta magica, ma chiunque ricopra incarichi pubblici di un certo rilievo dovrebbe avere il buon senso di tentare, insieme a quegli imprenditori che tanto hanno avuto dalla vita e che magari lavorano con soldi pubblici, di costruire qualcosa di importante per la propria città. Non sto parlando di corruzione o quant’altro, sia ben chiaro. Ma la Politica, nel senso più ampio del termine e perciò con la P maiuscola, dovrebbe sapere che lo sport ha una funzione sociale rilevante. È un importante fattore di coesione sociale. Può essere fondamentale in chiave di sviluppo economico e turistico. Ho usato il termine generico “sport” anche se per la nostra città sport è sinonimo di calcio, non essendo mai stata la nostra città rappresentata da altro, che non sia stato il calcio, a livello nazionale. Eppure, a Vasto, tutti i presidenti del sodalizio biancorosso si sono lamentati per la lontananza della politica, per non avere degli aiuti, per avere spesso anzi i bastoni tra le ruote. E non si legga in queste parole un attacco all’attuale maggioranza: innanzi tutto, ho parlato degli ultimi 15 anni e, poi, chi vuole dare una lettura politica alle mie parole sappia che, nella vicenda, l’attuale opposizione risulta non pervenuta. A mio parere (ovviamente, si può dissentire), piuttosto che spendere soldi pubblici per sponsorizzare la squadra (come è stato fatto in passato e come anche l’attuale sindaco aveva deciso di fare), un primo cittadino dovrebbe sedersi ad un tavolo con gli imprenditori per spiegar loro l’importanza sociale del calcio, far capir loro che dovrebbe essere un dovere morale investire nel calcio che è un bene comune per l’intera collettività. Certamente, questo tentativo potrebbe anche andare a vuoto, ma ogni sindaco dovrebbe farlo, se non altro per il fatto che le vicende calcistiche interessano, in questa città, almeno 2.500 cittadini (sono molto di meno le persone che sono andate allo stadio negli ultimi anni – circa mille – ma nelle partite di cartello si sono registrate 2.000-2.500 presenze e, ad essere interessati al calcio, anche senza poi andare a vedere la partita, sono sicuramente almeno 2.500 persone, senza comprendere tutti quei ragazzi che, per il lavoro o per l’università, vivono fuori Vasto, ma che costantemente si informano sulla loro squadra del cuore). Invece da noi il politico di turno si siede solo al capezzale di una società morente, quando ormai è troppo tardi: il malato è grave e non resta che dargli l’estremo saluto. Ancora: sia Chieti che Lanciano hanno una seconda squadra che milita in Eccellenza. A Chieti, Teramo, Lanciano, L’Aquila esistono, come ho detto prima, altri sport le cui squadre militano in campionati nazionali. Come è possibile che da noi ciò non accada? Fermo restando che quello relativo al calcio non è uno dei primi problemi delle nostre zone, i politici locali, almeno quelli che riconoscono una valenza sociale a tutte le attività sportive – qualunque esse siano –, si sono mai interrogati sul perché da noi ciò non è mai – dico mai – successo? Siamo, economicamente parlando, un paese tanto più povero rispetto alle altre città abruzzesi da non poterci permettere neanche una – dico una – squadra professionista? Guardando banche e imprese, direi proprio di no. Pur riconoscendo di essere il sud dell’Abruzzo geograficamente ed economicamente, pur ammettendo delle distanze rispetto a tutte le altre città d’Abruzzo, questo divario non è tale da giustificare il nostro eccessivo ritardo sportivo (e calcistico in primis). È per questo che muovo l’accusa di mediocrità alla politica. Altrimenti, l’unica cosa che riesco a pensare è che la politica locale queste differenze enormi nell’ambito sportivo non le ha mai colte, dimostrando, in tal caso, di essere poco attenta al territorio. Ma, che sia giusta la prima accusa o che sia più corretta la seconda affermazione, ben poco cambia circa il giudizio negativo che meritano gli amministratori riguardo alle vicende sportive. E non si pensi che alcune squadre – Lanciano su tutte – abbiano semplicemente la fortuna di avere dei presidenti-tifosi. A voi politici pare possibile che Valentina Maio, presidentessa del sodalizio rossonero, dall’età di 15 anni, si recasse allo stadio, sciarpa al collo, a tifare per il Lanciano? È pensabile che Valentina, accompagnata magari dal fratello Guglielmo (vice-presidente e amministratore delegato della Virtus Lanciano), se ne andasse sopra e sotto per l’Italia a vedere le partite in trasferta della sua squadra, prima di essere presidentessa? Ebbene: la Maio non è tifosa del Lanciano (calcio): è tifosa di Lanciano, nel senso di città. È a Lanciano che sente il dovere di “dare” qualcosa. Oppure questo senso del dovere è qualcun altro (sindaco in testa) che glielo ha fatto e glielo fa sentire. Per quanto riguarda gli imprenditori, vorrei dir loro una cosa banalissima: il calcio dovrebbe essere un investimento. Compito di un imprenditore che vuole fare calcio è prima di tutto investire, poi, magari, chiedere di creare strutture sportive di cui la città avrebbe urgente bisogno, non solo per l’allenamento della prima squadra, ma anche per costruire delle squadre giovanili in grado, tra l’altro, di allontanare i ragazzi dalle strade. Mi raccontano i tifosi storici, quelli che hanno visto la C, quella vera, la terza serie nazionale, che, all’epoca, tra i dirigenti si faceva a gara a chi metteva più soldi e scattava tra tutti il desiderio dell’emulazione; chi non poteva faceva i salti mortali per, ad esempio, affittare gratuitamente agli atleti le proprie case o per “limitarsi” a sostenere i costi delle trasferte. Negli ultimi anni, spesso ho visto presidenti attorno ai quali è stata fatta terra bruciata: un po’ come a dire: “Ti sei preso la patata bollente, adesso arrangiati tu.” Ma altrettanto vero è che non abbiamo visto presidenti tirar fuori soldi per creare una solida struttura societaria, spendere per inseguire un progetto quale la valorizzazione di giovani, dalla vendita dei quali ricavare quel denaro che permette di andare avanti. Spesso, ho visto presidenti sì tirar fuori dei soldi, ma solo per costruire la prima squadra e, poi, dopo qualche anno, annaspare, non farcela più e pretendere aiuti che spesso, però, sono stati chiesti senza la necessaria umiltà. E così si è sempre costruita una squadra senza le fondamenta. In tal senso, la compagine 2009-2010 è emblematica di quanto sia mancata la progettualità: abbiamo costruito, almeno sulla carta e nel mese di agosto, una casa dalla bella facciata, ornata nei minimi dettagli (leggi nomi altisonanti: Cammarata, Patarini, Sassanelli, Visone), ma, se si apriva il portone, dentro non c’era niente, né il pavimento né i pilastri (leggi: giovani validi per avere i contribuiti dalla Lega e soprattutto per rivenderli e “fare cassa”; squadre giovanili in grado di figurare nei rispettivi campionati senza subire dai 5 ai 20 gol a partita). L’esempio da seguire (lontano, almeno per il momento, anni luce da noi) è quello del Teramo basket: dal nulla, come ho spiegato prima, si è arrivati in serie A, grazie a investimenti veri, ad una programmazione seria, all’aiuto della Politica, all’appoggio di tutti gli imprenditori (da ciascuno secondo le proprie capacità), grazie alla Banca Tercas che ha sempre (sempre!) sponsorizzato lo sport nella provincia teramana (sia il Teramo calcio che il Giulianova) e che da qualche anno è il main sponsor del Teramo Basket. Qualcuno mi dica se ha mai visto allo stadio Aragona una sponsorizzazione da parte di qualche banca. Ma qualcuno mi dica pure se i presidenti che abbiamo avuto hanno lavorato per la prima squadra cittadina, se hanno cercato con umiltà sponsor importanti tra i “nostri” (si fa per dire visto che una banca di Vasto non c’è, o non c’è ancora) istituti di credito. Non è la banca, in sintesi, che viene da te, sei tu che devi andare dalla banca, prospettarle un progetto serio, per ottenere una sponsorizzazione. E a proposito di banche, la CariChieti, negli anni passati, ha spesso sponsorizzato il Chieti (che invece due anni fa aveva come sponsor principale “Serfina banca”). La BLS campeggia da diversi anni sulle maglie del Lanciano calcio. Credo che, se da noi ciò non è mai accaduto (neanche una sponsorizzazione a bordo campo, uno striscione di tre metri quadrati), il perché è da ricercare nella mancanza di un progetto vero. E così, non solo Vasto, ma un territorio intero (Vasto, San Salvo, Cupello, Casalbordino, Monteodorisio, Gissi, Celenza sul Trigno, ecc.), si ritrova senza calcio. Settanta-ottantamila persone sono prive di un forte punto di riferimento calcistico, soprattutto per quei giovani che, avendo discrete qualità, aspirano a farsi vedere a livello nazionale, ma anche per la gente, quella gente che, in una zona come la nostra, periferia della periferia, la domenica non cerca altro che un po’ di svago e di sano divertimento. Concludo, sperando che le mie parole non vengano lette in tono esageratamente polemico, visto che la mia vuole essere una riflessione costruttiva. Non pretendo risposte da nessuno, ma mi piacerebbe aprire un dibattito serio sulle cause della misera realtà calcistica (e sportiva) della nostra città. Non mi aspetto risposte ai vari interrogativi disseminati, qua e là, in queste pagine, ma se proprio qualcuno “dall’alto” pensa che sia giunto il momento di interrogarsi seriamente sull’argomento calcio, mi spieghi perché altrove il binomio sport-politica è forte e qui no e mi illumini pure sul perché altrove si programma, si investe, si raccolgono i frutti dei propri investimenti e qui no. Mi auguro, infine, che queste pagine, da cui trasuda la mia grande passione calcistica, e anche il grande amore che nutro verso la città di Vasto, possano contribuire in qualche modo a provocare quello scatto d’orgoglio necessario per una “rinascita” calcistica seria e duratura, fondata sui valori dell’umiltà e della lealtà.
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