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Il gruppo Agesci Vasto 1 festeggia cinquant'anni di storia e passione

Intervista a Patrizia Ciccarella, capo fuoco e responsabile regionale Agesci

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‘Semel Scout, semper Scout’ recita il motto latino che sta ad indicare che chiunque abbia pronunciato la Promessa Scout, ‘se Dio vuole’ lo resterà per sempre.

Nel mondo dello scoutismo tutti conoscono questa frase, ma anche se a qualcuno dovesse essere sfuggita, ciò non ne pregiudica la capacità di essere portatore di quell’insieme complesso e armonioso di valori, di rispetto, di senso del servizio, di amore e attenzione per il prossimo, che questo metodo educativo ‘stampa’ sulla pelle. Tanto più che la legge, la promessa e le carte costituzionali del movimento sono intrise di ‘parole’ che non vengono semplicemente pronunciate a bocca o avvallate da una firma, ma ‘passano’ attraverso il corpo, le mani, la pelle di chi le ha conosciute e ‘vissute’.

Si celebra quest’anno il cinquantennio del gruppo Scout Vasto 1 della parrocchia di San Giovanni Bosco, una delle associazioni più conosciute e radicate sul territorio.

Tante le iniziative che dal pomeriggio del 23 febbraio saranno dedicate ai festeggiamenti e che vedranno il coinvolgimento non solo di chi attualmente ‘indossa la divisa’, ma anche di quanti hanno vissuto un ‘tratto di strada’, seppur per un breve periodo, all’interno del movimento. (per info si veda la pagina Facebook del gruppo).

Per l’occasione abbiamo incontrato Patrizia Ciccarella, capo Fuoco e responsabile per la Regione Abruzzo, scout da quando aveva 9 anni, oggi anche mamma e insegnate.

Quest’anno ricorre il 50° del gruppo ‘Vasto 1’. Cosa significa questo per la città e per quanti ne fanno e ne hanno fatto parte?

Abbiamo cominciato con l’inaugurare quest’anno di gioia con la cerimonia dell’Uscita dei Passaggi. A Vasto si celebrano i 50 anni continuativi di scoutismo e, in una realtà come la nostra, noi crediamo che il gruppo scout abbia in qualche modo inciso. Abbiamo ricevuto molto anche dalle persone, dalle famiglie, dalla comunità salesiana grazie alla quale siamo nati e continuiamo a vivere perché i Salesiani ci accolgono e ci mettono a disposizione risorse e strutture. Allo stesso tempo pensiamo di aver contribuito anche noi a lasciare una traccia perché nel nostro gruppo sono passate tantissime persone che, anche se soltanto per un per un piccolo periodo, ci dicono sempre che le esperienze che hanno vissuto sono tuttora significative nella loro vita adulta, sia nelle relazioni che nelle scelte familiari o professionali. Questo è un successo per noi perché vuol dire che è una realtà viva.

Tu che oggi sei anche insegnante e, quindi, sei a contatto con i ragazzi anche in un contesto diverso da quello scout, quanto pensi che siano attuali oggi gli insegnamenti educativi, metodi e valori, dell’associazione?

L'associazione si interroga spesso su come proporre ancora il metodo e attualizzarlo. In questo senso penso soprattutto alle grandi città, anche se i nostri stessi giovani ormai vivono inseriti nel mondo globale.  Vasto è una realtà ancora a misura d’uomo, ma comunque gli echi di una realtà diversa, di un modo di gestire e di considerare le cose, si pensi al relativismo esasperato di oggi, ciò non aiuta a fare delle scelte. La fascia d’età di cui mi occupo io da qualche anno è un'età particolarmente difficile per questo, perché chiediamo ai giovani di fare delle scelte e noi fino a ieri sera ci siamo interrogati, come staff, e ci siamo chiesti ‘quanto dobbiamo chiedere, quanto dobbiamo essere esigenti’. Come dice spesso anche don Massimiliano, che ci accompagna a livello spirituale in questa riflessione, loro vivono dentro all'oratorio, vivono dentro il gruppo e noi gli proponiamo in modo gioioso e avventuroso questi valori perché per primi noi ci crediamo, perché sono valori positivi che possono trasporre anche fuori. Certo, è difficile, però noi abbiamo la speranza non di non formare​ ragazzi che la​ pensino esattamente come noi. L’obiettivo che ci poniamo è quello di fargli vivere determinate esperienze che possano di mettergli in moto il desiderio di capire, di crescere e di avere un punto di vista personale. Perché li portiamo sulla cima di una montagna? Per far loro vedere che la bellezza c'è. Sempre più spesso in tv o su internet si vede la bruttezza, più spesso siamo noi adulti un po' scoraggiati perché il lavoro non si trova, perché le difficoltà sono tante…noi cerchiamo di mostrare invece che la bellezza c’è, ma ci vogliono gli occhi per vederla. Quindi è difficile, certo, però i ragazzi hanno voglia di bellezza e noi puntiamo su quello perché loro ce l'hanno, più degli adulti.

Come sono, quindi, gli adolescenti di oggi?

L’adolescenza è sempre stata un’età particolare. Oggi il bambino, l’adolescente o il giovane in generale forse è più complesso, perché il mondo stesso è più complesso. Gli strumenti tecnologici così potenti, che costituiscono una grande opportunità, che noi non avevamo per studiare, per imparare o per dialogare, se usati in modo intelligente, ci permettono tante cose, ma sono talmente potenti da avere anche un risvolto negativo perché forse non si capisce che sono, appunto, ‘strumenti e basta’. L’amicizia, quella vera, non è quella di Facebook, ma si esprime nell’abbraccio e quando ci si guarda negli occhi. Fabrizio Coccetti, che domenica sarà al convegno, si stupisce quando alcuni insegnanti gli riportano le difficoltà a fare staccare i ragazzi dai cellulari durante le lezioni. Io questo lo vedo a scuola, è difficile riportarli alla realtà della classe quando loro invece stanno facendo le loro cose col telefono. Noi durante le attività scout non abbiamo mai questo problema, perché di fronte a una strada faticosa da percorrere con gli zaini in spassa, durante la condivisione della gioia di fronte a un fuoco di bivacco, di fronte alla bellezza della natura, all’avventura e al protagonismo che si vive durante le attività scout, io ragazzi al telefono ci pensano molto poco e se lo utilizzano lo fanno solo in modo funzionale anche per le attività stesse, perché , voglio dire, si può anche decidere un’impresa di squadriglia facendo una ricerca su internet. Oggi abbiamo questa possibilità non ce l'avevamo. È il modo in cui lo utilizziamo, insieme agli altri e per quale fine, questo fa la differenza.

Che cosa vuol dire essere un capo? Quali sono le momenti più difficili anche che hai vissuto tu nella tua esperienza di essere?

Baden Powell, il nostro fondatore, diceva che ‘chiunque può essere un istruttore, ma il capo è un’artista. Capi si nasce, non si diventa’. Io credo che si nasce con la passione educativa, il capo è primariamente un appassionato dei ragazzi, una persona adulta che sceglie, parlo del capo scout Agesci, di donare buona parte del suo tempo e della sua vita e delle sue energie ai ragazzi, in modo del tutto gratuito, sulle orme del Signore. Perché noi abbiamo fatto anche una scelta precisa di fede e perché crediamo che tra tutti i modelli possibili, il modello di vita che ci propone Gesù sia quello che ti porta alla felicità più duratura, più vera. I momenti difficili sono quando perdi qualche ragazzo, soprattutto quando capisci che è pieno di tristezza e tu non riesci ad aiutarlo. Il punto forte della nostra associazione è che non affronti questi momenti da sola ma insieme agli altri. Questo è quello che ci rende vincenti, la condivisione con la Comunità Capi. Non si è mai da soli, sia i momenti difficili che di gioia si condividono sempre con la comunità dei capi che si ritrova questi valori e su questo modo di intendere la propria vita. E allora lì poi le soluzioni arrivano e le difficoltà pesano meno. Ormai anche a scuola lo sto vedendo cioè a scuola io sono un'insegnante di sostegno e collaboro sempre con i docenti curricolari e spesso le situazioni più difficili si riescono a sbrogliare perché si è in più colleghi, si crea un team di persone che lavorano.

In cosa si caratterizza lo scoutismo rispetto alle altre associazioni?

Lo scautismo vuole educare la persona in tutte le sue dimensioni.  ‘Lo scautismo è un Umanesimo’ perché è una visione dell’uomo nella sua interezza, quindi è un’esperienza bella e ti affascina perché ‘il fuoco di bivacco’ alla fine della giornata lo vedi e ne senti il calore. Non te ne parlano soltanto ti tocca il corpo in un modo così forte che arriva più direttamente all'anima.

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