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Prima l'indignazione, poi la caccia ai nomi e la 'voglia di gogna'

Riflessioni sullo squallido ed angosciante caso dell'adolescente vastese vittima di abusi da coetanei

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Prima l’indignazione, poi la caccia ai nomi.

Chi sono i due “normali” minorenni vastesi di famiglie altrettanto “normali” che, secondo l’accusa, hanno abusato sessualmente di una sedicenne riducendola per due anni in schiavitù col ricatto di foto e video compromettenti?

La curiosità, va detto subito, è figlia stessa della cronaca, che si fa più morbosa quando i reati contestati riguardano la sfera più privata e intima di una persona. La voglia di gogna, insomma, è l’effetto più immediato della squallida e triste storia avvenuta a Vasto. E’ così da sempre, purtroppo e poco importa se di mezzo ci sono presente e futuro di un’adolescente già messa a dura prova dalla violenza e dai soprusi di un paio di bulli senza scrupoli.

Ora sono nel carcere minorile, i due, che, se riconosciuti colpevoli, andranno incontro a condanne severe.

Tutto questo, però, non basta a chi ha letto, visto e sentito il racconto del fatto: i nomi, ci vogliono anche i nomi degli indagati, per sapere chi sono loro, chi i loro genitori, i fratelli, le sorelle se ce l’hanno, per poterli additare per strada e isolarli dal tessuto sano della comunità. Così, tanto per potersi tutelare se, in futuro, dovessero riprovarci. Il tessuto sano, già, ma quale? Quello evocato in queste ora dai moralisti da tastiera, che rimpiangono i tempi del motto “mazza e panella”? O quello del partito del ceffone, l’unico rimedio, a sentir taluni, in grado di raddrizzare i figli, se e quando sbagliano?

Il mondo è cambiato, i social media l’hanno rivoltato come si fa con un calzino, ma in tanti non ce ne siamo ancora accorti. Nella società dell’apparire a tutti i costi, del far vedere che ci sono anch’io nella gallery della vita, ragazzini e adolescenti pagano il prezzo più alto della loro fragilità. Il ricatto, adesso, corre sulla rete velocissima del web e a farne le spese sono soprattutto loro. Indietro non si torna, è vero, ma, allora, si adottino adeguate contromisure: i genitori diano l’esempio, confrontandosi ogni giorno con i figli, anche sul sesso, ancora un tabù per tanti e la scuola faccia di più: polizia, carabinieri, ci vanno nelle aule a spiegare i rischi della rete, ma ne parlino di più anche i docenti: il sesso consapevole, il web, la tutela gelosa della propria intimità, diventino materia d’insegnamento. Chissà, ne guadagneremmo tutti. I nomi degli indagati, per favore, lasciamoli alle aule di giustizia dove, si spera, chi ha sbagliato una volta giurerà al giudice di non farlo mai più.

 

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