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Il dramma di Rigopiano, la prima 'tragedia digitale' d'Abruzzo

Tante sensazioni, contrastanti ed intense, in una settimana da incubo per la slavina che ha sepolto il resort di Farindola

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Ora che la tragica conta è finita, adesso che all’appello non manca più nessuno, sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano non resta che riavvolgere dolorosamente il nastro di una settimana da incubo.

Lo facciamo attraverso le sensazioni di un popolo scolpite nella storia digitale abruzzese e non soltanto in quella. Ci ripassano davanti agli occhi e nella mente l’incredulità dei post dopo le prime voci rimbalzate sul web, di un albergo, cioè, spazzato via da una slavina a Farindola, l’allarme tardivo, la lenta marcia nella tormenta, di notte, degli sciatori del soccorso alpino.

E poi le prime luci, alle 4 del mattino di giovedì 19 gennaio, puntate su quel che restava del resort da favola travolto dalla valanga, la corsa contro il tempo ingaggiata dai soccorritori.

Un’emozione dietro l’altra, angoscia- speranza- sfiducia- esultanza gioiosa, sì, pure quella per fortuna, al riemergere dei primi vivi da quella informe tomba di ghiaccio. Un ritorno alla vita che, purtroppo, la sorte ha riservato solo a undici dei quaranta protagonisti della sciagura.

Scorrono a fiumi i post sul diario di dispersi e sopravvissuti, "non mollate, dai dai, i vigili del fuoco e tutti gli altri ce la fanno a tirarvi fuori", per non dire di invocazioni e preghiere. Il recupero fattosi da giorni silenzioso e triste, perché la sotto, era ormai chiaro, di bolle d’aria salvavita non v’era più traccia, ha riportato tra gli ultimi in superficie i due ragazzi che Vasto amava: Jessica, lancianese solo per l’anagrafe e il suo bell’ufficiale di volo, Marco. Nemmeno 50 anni in due, una vita davanti, belli, bellissimi entrambi, con quel sorriso stampato sul volto che nemmeno l’ingiuria estrema della morte potrà mai cancellare.

Il diario digitale della sciagura di quest’avvio d’anno da mozzare il fiato consegna alla storia, purtroppo, anche il peggio del peggio dell’italica burocrazia: "Ho la coscienza a posto", ha detto ai cronisti la funzionaria della prefettura di Pescara che all’allarme non ha creduto, archiviando nel faldone delle bufale l’appello disperato di Quintino Marcella. A posto o no con la sua coscienza, il popolo del web le mostra pollice verso. Se ha delle colpe nei ritardi dei soccorsi lo dirà l’inchiesta della procura. Chissà se, un domani, troverà il coraggio di portare un fiore sulla tomba di chi non ce l’ha fatta. Ad accompagnarla, a capo chino, dovrebbero però essere in tanti: a partire da chi, nello tsunami bianco del 2017, non si è ricordato per tempo di un hotel a 1.200 metri di quota alle pendici del Gran Sasso.

E di quaranta persone lasciate colpevolmente sole, anzi, "sequestrate", come ha tuonato il papà di Stefano, Alessio Feniello, uno dei volti simbolo di questa tragica storia.

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