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Giuseppe Lalli, poliziotto vastese nell'ecatombe del Nepal

L'articolo su Il Centro. 'Sono un miracolato, i bambini mi hanno salvato'

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Case crollate, villaggi distrutti, macerie, cadaveri ovunque. Grida disperate, il rumore degli aerei militari che portano aiuti umanitari, il silenzio della morte. L'apocalisse. Ma ai bambini dell'orfanotrofio di Katmandu, capitale del Nepal, la morte non fa paura.

Con loro c’è Giuseppe Lalli, 51 anni, poliziotto vastese in servizio fino pochi mesi fa a Chieti e ora alla Questura di Pescara, che ha avuto il coraggio di rimanere in Nepal per aiutare un popolo messo in ginocchio dalla terribile scossa di terremoto di magnitudo 7,9 del 25 aprile.

Era una vacanza. Quella in Asia del poliziotto abruzzese doveva essere una vacanza come le altre. «Avevo le ferie arretrate e mi sono preso 30 giorni», racconta Lalli. «Ho organizzato un tour in Asia perché l'Oriente è un mondo affascinante che volevo esplorare per la prima volta. Avevo programmato di visitare l'India, la Thailandia, Pechino, Hong Kong e di fare un'escursione sull'Everest». Ma le cose andranno diversamente.

Lalli parte da Fiumicino e atterra a Delhi il 19 aprile. A Katmandu, una delle tappe del tour, sarebbe dovuto rimanere solo due giorni. Il 25 aprile, quando il terremoto devasta il Nepal, il poliziotto vastese è appena arrivato. Da tre ore si trova nell’orfanotrofio della capitale nepalese. «Mio fratello, monsignor Mauro Lalli, è il consigliere di nunziatura presso l'ambasciata del Vaticano a Delhi. Quel giorno aveva un meeting istituzionale all'orfanotrofio di Katmandu e io l'ho seguito. Lì c'erano bambini di sette e otto anni. La scossa di terremoto è stata fortissima e prolungata, eravamo a 15 km dall'epicentro. Non ho sentito il boato, ma ho visto i vetri delle finestre frantumarsi. Ho subito capito la gravità della situazione, avendo vissuto già i terremoti di Perugia e L'Aquila. Eravamo al terzo piano. Abbiamo preso i bambini e siamo scappati fuori. Nessuno si è fatto male. Il terremoto ha fatto crollare un'ala dell'edificio».

«Quei bambini mi hanno salvato: quel giorno non dovevo essere lì, ma nel centro della città che è andato distrutto. Ho cambiato programma solo perché mio fratello aveva una riunione istituzionale. Mi sento un miracolato».

Salvato dai bambini. Le prime due notti dopo il sisma, Lalli le passa in orfanotrofio, mentre le altre le trascorrerà nella sede vescovile di Katmandu. «Ogni volta che c'era una scossa, i bambini si alzavano e uscivano fuori come soldatini. Poi, una volta rientrati, si addormentavano subito. Per loro era come un gioco. Sono rimasto colpito dalla loro compostezza: non piangevano, non urlavano, non litigavano. Chiedevano solo di avere una ciotola di riso». La situazione è tragica, il bilancio è apocalittico: oltre 9mila vittime.

Lalli deve proseguire il suo tour e avrebbe la possibilità di andare via dal Nepal con un aereo militare. «No, non voglio abbandonare questi bambini», risponde Giuseppe. «Non voglio scappare, voglio aiutarli». Il poliziotto vastese resta in Nepal sette giorni. E si unisce ai soccorsi con la Caritas e la Croce Rossa Internazionale, avendo alle spalle anni di volontariato a Vasto.

Insieme ai volontari. «Ho raccomandato alla popolazione di non rientrare nelle case e ho dato parole di conforto. Poi ho effettuato sopralluoghi nei villaggi più isolati. Ho visto di tutto: cadaveri sepolti già pronti per essere cremati, case distrutte, persone inginocchiate a pregare. C'era un nepalese che gridava e, disperato, ci chiedeva di aiutarlo a togliere le macerie perché lì sotto era sepolto il cadavere di un suo familiare. E' stato un inferno, ma non ho mai avuto paura perché in quei momenti hai poco tempo per pensare e devi solo rimboccarti le maniche per prestare soccorso».

Dopo una settimana, Lalli deve salutare i bambini dell'orfanotrofio e proseguire il tour. «Il distacco è stato doloroso, direi tragico. Dopo una settimana a Katmandu, ho proseguito il tour a malincuore e con un peso sullo stomaco. Questa esperienza è stata una lezione di vita. Il vero terremotato sono io perché questa gente mi ha insegnato a vivere. Sono rimasto colpito dalla dignità del popolo nepalese. E non potrò mai dimenticare gli occhi di quei bambini. Non sono sposato e non ho figli, ma è come se li avessi lasciati in Nepal».

PRONTO A RIPARTIRE. Lalli è tornato a Vasto il 19 maggio, ma è pronto a partire di nuovo. «Sto pensando di tornare lì per aiutare quelle persone che hanno ancora tanto bisogno e sto studiando una serie di iniziative per mandare contributi all'orfanotrofio». Forse sarà stato l'unico al mondo ad essere andato in Nepal senza aver visto la cima innevata dell'Everest. Ma nella capitale nepalese, Giuseppe Lalli, ha trovato una nuova famiglia. Quei bambini che, quasi per caso, gli hanno salvato la vita.

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